Sono circa quindicimila i frontalieri che dal primo luglio, quando è terminata la possibilità di lavorare per il 40% del tempo in smartworking, sono rientrati in ufficio. In attesa di una proroga, attesa per fine giugno ma poi mai arrivata, “sono tra i 12mila e i 15mila i rientri – spiega Andrea Puglia, responsabile dei frontalieri per il sindacato ticinese Ocst – Non si tratta di un dato ufficiale ma di un numero che si basa essenzialmente sul numero di frontalieri attivi in quelle aziende che di norma utilizzano il telelavoro”.
Nel frattempo a una proroga del telelavoro, con ogni probabilità fino al 31 dicembre, sta lavorando in queste ore il dicastero dell’Economia guidato dal varesino Giancarlo Giorgetti. Nel frattempo, in questa fase di incertezza, in tanti hanno preferito ritornare in azienda anche per evitare di incappare in possibili controlli predisposti dall’Agenzia delle Entrate.
E sempre l’Ocst a ridosso della scadenza del 30 giugno scorso aveva spiegato come “l’esecutivo italiano ha deciso di non rinnovare la validità della norma. Inoltre la stessa Italia (a differenza di quanto ha già fatto la Svizzera) per il momento ha deciso di non aderire ai nuovi regolamenti europei che pur permetterebbero ai frontalieri di lavorare da casa entro il 49,99% del tempo di lavoro senza avere impatti di natura previdenziale. Nonostante tutti i tentativi fatti dalle parti sociali (e i numerosi “ordini del giorno” presentati in Parlamento),l’Italia ha quindi deciso di prendere tempo sul telelavoro”.
Un decisione comunque sembra essere attesa nei prossimi giorni.