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Tra scommesse, cappuccini e birra economica. Via Anzani, giorno 20: “Bene il coprifuoco ma poi?”

La parola coprifuoco evoca immagini cupe. A Baghdad, Iraq, un coprifuoco è durato dal 2003 al 2015 e imponeva agli abitanti della città di rincasare prima della mezzanotte. A Como, Italia, un coprifuoco della durata di quaranta giorni impone a tre negozi di Via Anzani, lati dispari, di chiudere anticipatamente alle 18.00.

Obiettivo dell’ordinanza emanata il 19 ottobre scorso è reprimere gli episodi di disordine e degrado che ComoZero ha ampiamente documentato nelle scorse settimane. “Una bomba sociale pronta a esplodere”.
A diciannove giorni dall’emissione dell’ordinanza, Via Anzani, sonnolenta sotto un cielo grigio e un velo di pioggia, è tutt’altro che una zona di guerra. Merito delle misure repressive che hanno disinnescato la bomba, si potrebbe pensare. Ma non tutti sono d’accordo.

PER APPROFONDIRE
IL CASO DI VIA ANZANI, TUTTE LE TAPPE

“Sono vent’anni che faccio questo lavoro e giuro che non ho mai lavorato in un posto così impegnativo”, racconta Salvatore Giusmano, da dietro il vetro del bancone del punto scommesse Goldbet. Giusmano è socio e gestore del negozio che da settimane è additato come una delle ragioni del degrado della zona, assiduamente frequentata da giovani stranieri spesso coinvolti in episodi di disordine pubblico.

Giusmano racconta come la situazione stia migliorando, mentre allunga ricevute e resti delle giocate a una dozzina di ragazzi africani che a turno piazza misere scommesse da pochi euro sui risultati di partite di calcio: “Abbiamo installato delle telecamere di sicurezza. Ovviamente non permettiamo la consumazione di alcolici nel nostro locale e presto avremo una persona all’entrata per la fine della giornata per controllare che tutto vada bene”.

Il punto scommesse ha aperto da qualche mese e, secondo il gestore, si è trovato incolpevolmente coinvolto nel caso Anzani, dovendo far fronte all’handicap del coprifuoco a ridosso dell’apertura. Giusmano però, tra una puntata e un’altra, collega la situazione della strada alla questione migranti a Como. “Il tipo di giochi, perfettamente legali, che abbiamo qui sono facili e offrono un passatempo a questi ragazzi che non hanno niente da fare tutto il giorno”. La valutazione di Giusmano sembra trovare conferma nel fatto che per il richiedente asilo medio, ottenere un impiego può essere complicato (qui, per approfondire).

“Il vero problema è però un altro”, aggiunge il gestore. “Il fatto che nel supermarket qui a fianco si venda birra a poco più di un euro e cinquanta non aiuta la situazione. Con cinque euro si possono comprare tre bottiglie. È ovvio che scoppino le risse poi. In ogni caso abbiamo collaborato con il Comune e speriamo che allo scadere dei quaranta giorni si possa tornare al lavoro normalmente, visto che ce n’è sempre poco e punire gli imprenditori non funzionerà per risolvere la situazione a lungo termine”.

Qualche metro più in là, all’angolo con Via Magenta, i clienti di metà mattina riempiono il Bar Maiorca, ugualmente sotto coprifuoco. C’è chi attende il proprio cappuccino e chi il proprio Negroni. La titolare Fabiana Maiorca ha toni meno ottimisti, in linea con alcune perplessità già espresse su queste pagine. “Abbiamo tolto i tavolini fuori. Ci siamo tutelati mettendo le telecamere”, spiega la donna. “Non c’è nessun tipo di monitoraggio del quartiere. I controlli delle forze dell’ordine vengono fatti solo su di noi perché si chiuda entro le 18.00. È una punizione solo per gli esercenti. Mi chiedo cosa possa succedere al termine di questi quaranta giorni”.

Bastano venti minuti in Via Anzani per capire che non tutti la pensano allo stesso modo circa le misure repressive imposte. Parlando però con chi vive il quartiere tutti i giorni si può mettere a fuoco la ragione per cui una zona relativamente benestante come Via Anzani sia stata trascinata in una spirale discendente di cui il coprifuoco è solo sviluppo più recente.

“Io vivo in Via Anzani dal 1958 quando ancora non c’erano così tante case qui intorno. Anzi, erano più orti e giardini che palazzi”, racconta una condomina anonima del civico 27, uno dei palazzi che hanno lanciato la petizione anti-degrado nelle settimane scorse. “A un certo punto si stava rinnovando. Avevamo un droghiere, una latteria, una pasticceria fino a che i negozi hanno cominciato a chiudere. Ci si aiutava tra condomini e vicini. Poi tanti di noi [abitanti originali, Ndr] sono morti e gli eredi hanno preferito affittare. Oggi si fa fatica anche a fare la raccolta differenziata vista la poca collaborazione delle persone. Via Anzani non è più quella di una volta”.

Un secondo residente che ha vissuto per gli scorsi 36 anni nella via insiste sul cambiamento progressivo del quartiere da zona rispettabile a periferia da recuperare: “Si trattava un posto tranquillo, fino a qualche anno fa, prima che si cominciasse ad affittare a stranieri. Ora c’è un traffico di personaggi poco raccomandabili, di persone che tra gioco birre si lasciano andare”.

Gli autoctoni di Via Anzani spiegano tutti il degrado del quartiere in maniera simile. Chi invece è nuovo della zona ha una visione diversa, come Paolo Cipriani, 26 anni: “Mi hanno parlato di Via Anzani come di un quartiere dormitorio in cui c’è poco da fare e gli affitti sono più bassi del resto di Como. Ovvio, ci sono stati degli episodi di rumore notturno e di sporcizia per strada la mattina. Ma alla fine siamo in una città e il rumore è normale”.

Nonostante il coprifuoco paia funzionare per mantenere l’ordine, Cipriani, da ex imprenditore impiegato attualmente nel settore della grande distribuzione, rimane critico nei confronti coprifuoco e del tentativo di addossare la colpa agli stranieri: “L’ordinanza danneggia i negozi e non fa altro che spingere il disordine più in là. Per quanto riguarda gli stranieri, beh, è facile dar loro la colpa quando vivi nella zona da cinquant’anni e le facce che hai visto sono sempre state di Como”.

Se il mese scorso la necessità di fare qualcosa per disinnescare “la bomba sociale” di Via Anzani univa residenti ed esercenti, oggi c’è divisione tra le popolazione sulle conseguenze dell’ordinanza restrittiva sul quartiere.
Rimane da chiarire se tamponare l’emergenza per la biblica durata di quaranta giorni sia l’idea migliore o se un piano di rammendo delle periferie sia un’alternativa più valida.

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