75 anni dopo, nessuno avrebbe immaginato di celebrare il 25 aprile nel silenzio, lontano dai luoghi che segnano la memoria, che ne diventano simbolo eterno come il monumento alla Resistenza Europea di Como.
Niente suoni, niente musica, bandiere, partigiani, cittadini e autorità.
Siamo chiusi in casa e così non rimane che la documentazione: filmati, foto, testi.
Questa mattina il sindaco Mario Landriscina ha deposto una corona al monumento e ieri ha registrato un discorso per i cittadini, lo riportiamo integralmente.
Cari concittadini,
Siamo costretti in soggiorno davanti al televisore o a un computer per inseguire connessioni e mantenere relazioni. Quello che stiamo vivendo sembra un 25 Aprile straniante, in un mondo virtuale condizionato dal coronavirus.Non possiamo guardarci negli occhi di persona oppure stringerci la mano. Abbiamo la mascherina all’ingresso, di fianco alle chiavi di casa, per quelle rare volte che è necessario uscire, e dovremo abituarci ad un nuovo modo di convivere rispettando puntualmente le regole.
Anche per questo voglio ringraziare in modo particolare chi, in rappresentanza dello Stato o singoli cittadini, depone oggi un fiore, una corona davanti a monumenti e lapidi che ricordano quel sacrificio sempre vivo di uomini e donne per la libertà di tutti.
Se riflettiamo, lo scenario è lontano dall’atmosfera festosa e collettiva di una celebrazione come quella della Liberazione. Però rappresenta perfettamente l’essenza dei valori che questo giorno da 75 anni ci trasmette.
Nulla a che vedere con la tragedia della guerra e il riscatto della Resistenza. Ma il bisogno di libertà, di aggregazione e di condivisione, la forza del fare e del progredire democratico sono lì da accarezzare, da levigare proprio quando mancano. In questa costrizione le parole prendono forma, sono materia, ci restituiscono sentimenti affini. Li stiamo in qualche modo sperimentando.
È un periodo triste e complicato, a Como abbiamo visto morire parenti, amici, concittadini.
I nostri anziani, memoria ed esempio, stanno pagando un prezzo altissimo. Tutti i giorni vediamo medici, infermieri, tecnici operare ovunque con abnegazione e sacrificio di sé per guarire le persone dal virus. In un’occasione solenne come questa voglio dedicare loro un pensiero di gratitudine, di solidarietà, perché mi sembra di conoscerli uno a uno e li accompagno idealmente in prima linea. Ricordiamoci di loro anche tutto questo sarà finito.
E voglio ringraziare l’intera città che sta rispondendo con grande e sobria dignità (siamo comaschi, sappiamo di cosa stiamo parlando) all’emergenza di un intero Paese.
Ecco, in un simile scenario, il 25 Aprile è il nostro faro e insieme la luce in fondo al tunnel. E voglio ricordarne il senso più alto con le parole del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, pronunciate davanti alle associazioni dei combattenti l’anno scorso: «Questo giorno ci stimola a riflettere come il nostro Paese seppe risorgere dopo la tragedia della Seconda Guerra Mondiale. Un vero Secondo Risorgimento in un Paese materialmente distrutto e gettato nello scompiglio dal regime fascista e da quello monarchico». Il capo dello Stato lo chiamò Secondo Risorgimento e stimolò i giovani a «fare propri questi valori».
La diffusione della conoscenza delle radici democratiche simboleggiate da questo giorno è anche una mia preoccupazione nei confronti delle nuove generazioni. È un nostro dovere non limitarci a una celebrazione da calendario, ma far rivivere nella quotidianità i principi ispiratori di libertà e democrazia perché anche i giovani – anzi soprattutto loro – possano comprendere il meraviglioso vizio della memoria. Essere “iperconnessi” anche con un passato così drammatico e decisivo, piedistallo della Costituzione e della nostra convivenza civile.
Nel suo trattato Dei delitti e delle pene, Cesare Beccaria dice: «Nessun uomo ha fatto il dono gratuito della propria libertà in vista del bene pubblico.
Questa chimera non esiste che nei romanzi». E invece, proprio il 25 Aprile ci insegna che uomini e donne possono superare il pessimismo e il cinismo della ragione che si trasforma lentamente in rassegnazione, se si sentono chiamati a battersi per la vita, per la libertà, per la dignità della persona, per l’uguaglianza.
Per quell’insieme di valori che oggi definiamo bene comune. Non c’è nulla di retorico in tutto questo, ancora meno quest’anno mentre dai balconi sventola il tricolore nel silenzio delle nostre città. Della nostra città.
È una Como diversa, costretta a vivere un tempo di sospensione dall’emergenza sanitaria più devastante di questo secolo.
Un’esperienza che ci fa sentire più fragili ma più uniti, più smarriti ma subito dopo più determinati. In questa Como nitida e ferma come il suo lago è ancora più facile individuare i nomi e i volti di chi seppe rendere immortale quel primo 25 Aprile.
Sono nomi che non dobbiamo stancarci di pronunciare: Giancarlo Puecher, Massenzio Masia, Adolfo Vacchi, Abbondio Martinelli, il Capitano Neri, Giuseppina Tuissi detta Gianna. Teresio Olivelli morto in un campo di concentramento e proclamato Beato da Papa Francesco.
Aggiungo inoltre, in memoria di quanti non sono sopravvissuti ai campi di sterminio, Aldo Pacifici a cui recentemente abbiamo dedicato la posa di una pietra di inciampo proprio di fronte alla sua casa da dove è uscito una mattina per non farvi mai più ritorno.
E per ultimo, ma solo perché risplenda a lungo, Giorgio Perlasca.
La loro Resistenza deve continuare ad essere la nostra Resistenza. Contro l’ignoranza, contro le sopraffazioni, contro le divisioni. E contro questo nemico invisibile travestito da microorganismo che vorrebbe farci rimanere soli e al buio. Non vincerà. Le bandiere italiane che sventolano ci dicono che non dobbiamo perdere la speranza. E che il 25 Aprile 2020 sarà ricordato come quello del Terzo Risorgimento.
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Un commento
Aldo Pacifici. Nell 1938, reduce di guerra, funzionario dello Stato, ebreo, perse il lavoro e ai figli venne proibito di andare a scuola, come risultato delle leggi razziali.Nel 1943 venne poi catturato dagli uomini della milizia fascista mentre tentava di scappare in Svizzera. Venne incarcerato a Como e fu portato nel campo di concentramento di Fossoli. Arrivò ad Auschwitz il 6 agosto 1944, dove morì lo stesso giorno.
Bello ricordarlo, anche a qualche rappresentante delle forze politiche che sostengono la giunta (Felpati e Nipotini di Giorgia)