Avevamo in testa da un pezzo, da qualche anno in realtà (mentre peregrinavamo tra un giornale e l’altro), un itinerario alla scoperta dei tesori proibiti, nascosti (sebbene mai dimenticati) di Como. Un viaggio partito da qualche tempo su queste pagine tra orti e giardini perduti, fra architetture e strade, fra le ultime sentinelle e i custodi di gioielli dimenticati, pronti per tornare in mano alla città. Così (sia detto con completa sincerità: grazie e solo grazie a Veronica Vittani, Settore Cultura del Comune di Como) abbiamo organizzato questo piccola esplorazione negli archivi della Pinacoteca. A chi affidarlo se non a Chiara Taiana? Il perché, lo comprenderete leggendo.
Ah, l’immensa gallery è meravigliosa per valore ma non per esecuzione, far foto in spazi angusti è cosa per fotografi professionisti, gente seria. Noi, beh, si fa quanto si può.
Buona lettura e godetevi la nostra preziosa Chiara.
ComoZero
A volte capita di dover recitare un mea culpa.
Partiamo dall’inizio. Un paio di settimane fa ho scritto dei Musei Civici puntando il dito contro un allestimento, a mio parere, concettualmente “vecchio” e contro il loro essere palesemente “anti- turista straniero”.
Sia chiaro, non rimangio niente. Sono pronta a sottoscrivere tutto di nuovo, perché la si può raccontare come si vuole, ma è la verità e sfido chiunque a dire il contrario.
COMO PERDUTA, IL VIAGGIO DI COMOZERO
Poi però capita, all’improvviso, l’occasione di entrare nei depositi della Pinacoteca, cosa che per me equivale a darmi carta bianca in una pasticceria, e di scambiare due parole con Veronica Vittani che, con l’aiuto di Francesca Testoni, è l’anima segreta dell’Ufficio Cultura.
Detto tra noi, vista la realtà oggettiva dei musei, Pinacoteca compresa, la sua mi era sembrata una mossa un po’ suicida, diciamo. Perché, nonostante i curriculum di tutto rispetto (laurea in Museografia l’una e in Arte Contemporanea l’altra) e la notevole esperienza sul campo, non puoi che partire prevenuta – potete darmi torto? – aspettandoti meraviglie nascoste e nessuna idea di cosa farne.
Manca da secoli la figura di un direttore, manca questo e manca quello, decenni di semi immobilismo e di sacrificio dietro al paravento delle grandi mostre, sinceramente, cosa vuoi aspettarti? Al massimo di dover descrivere i depositi utilizzando le parole della conservatrice del MoMa: “Cimiteri che nessuno visita più”. Insomma, avevo già pronto il colpo in canna, ecco.
E infatti dietro quelle porte e dentro quelle stanze, tanto gelide (per motivi conservativi) che è un attimo restare in tema e pensare a un obitorio, ecco rastrelliere che svelano una miriade di piccoli e grandi capolavori che non hanno mai visto la luce: da Balestrini a Ico Parisi passando attraverso un dipinto di Corcos che da solo varrebbe una mostra. Eccolo:
E poi Capiaghi, che col suo “Cedro del Parco di Villa Olmo” sembra aspettare solo l’apertura dell’orto botanico per dire la sua, fino ai meravigliosi Sant’Elia segreti che meritano un capitolo a parte. Tutto sembrava confermare la mia teoria, e invece.
Invece, facendo due chiacchiere con le mie due accompagnatrici d’eccezione, si scopre un turbinio di pensieri e di progetti in movimento che vanno oltre i depositi e oltre i muri della Pinacoteca stessa. Una cosa che già di per sé lascia spiazzati. Ma è un attimo e poi sorge spontanea la domanda: tutto bene ma in movimento verso dove? E in che modo?
“Da febbraio dell’anno scorso (cioè quando è andata in pensione la Conservatrice della Pinacoteca ndr), ho ereditato la gestione di questo polo museale con un passaggio di consegne rapidissimo- racconta Veronica Vittani – e il primo passo è stato capire cosa c’era in Pinacoteca e come poterlo valorizzare al meglio. Per fare questo abbiamo coinvolto professionisti e attivato convenzioni, ad esempio, per riprendere la catalogazione degli archivi che, nel frattempo, sono finalmente tornati consultabili dagli studiosi. E poi abbiamo osservato, e stiamo osservando, altre realtà analoghe alla nostra in cerca di spunti di gestione: ad esempio l’Accademia Carrara di Bergamo, il Palazzo Ducale di Mantova, i musei vicentini, la GAM di Milano”.
GALLERY (PREZIOSISSIMA)
“E la direzione da prendere, secondo noi, è quella – spiega Vittani – di un modello di gestione diverso, esterno all’Amministrazione comunale, ad esempio una Fondazione, che riunisca tutti i musei della città, gli spazi espositivi e Villa Olmo sotto la gestione di un unico manager in grado dare una direzione e un nuovo impulso. Accanto, ovviamente, ai conservatori di ciascuna polo”.
“Esternalizzazione” e “Gestione manageriale” dei musei : due parole che potrebbero far inorridire più di una persona
“In realtà non ve n’è ragione. La lentezza della macchina amministrativa – prosegue – si ripercuote negativamente anche sui musei rallentandone l’attività. Una scelta di questo tipo permetterebbe semplicemente una gestione più snella, alleggerendo i conservatori di tutta la parte burocratica e organizzativa che oggi occupa il 70% del loro tempo. E nell’attesa che venga deciso quale direzione prendere, noi ci stiamo impegnando a “traghettare” i musei in questa fase di passaggio. E già l’anno scorso abbiamo registrato il 40% in più di visitatori rispetto all’anno precedente”.
Traghettare in cosa si traduce, concretamente? Banalmente, già l’allestimento delle collezioni avrebbe bisogno di essere ripensato in un’ottica più moderna
Il ripensamento degli allestimenti è uno degli obiettivi che ci siamo prefissati. Nelle sale, ad esempio, manca completamente lo storytelling, la narrazione non solo delle singole opere ma anche dei personaggi e del periodo in cui sono vissuti. E’ impensabile coinvolgere i visitatori basandosi solo sui ciclostilati plastificati che oggi ci sono nelle sale. A giugno, ad esempio, inaugureremo la mostra sull’asilo Sant’Elia che, oltre a rappresentare per la prima volta un’occasione di progetto diffuso in grado di coinvolgere la città su più livelli (dalla raccolta di testimonianze degli ex-alunni agli stage per gli studenti dell’Insubria, dalla formazione di docenti e bambini di questo “asilo-museo” ai laboratori didattici, dalle passeggiate creative agli eventi all’interno dell’edificio durante la stagione estiva), fornirà concretamente le basi e i materiali per il nuovo allestimento permanente della sezione dedicata al Novecento. E anche per quanto riguarda la Quadreria Storica c’è in progetto un ripensamento complessivo.
E tutte queste opere nei depositi? Si è pensato a un calendario di eventi per farle conoscere, come già fatto in marzo con l’ Allegoria della Primavera?
Si, il pensiero è quello di esporre periodicamente opere con un legame preciso con un momento o una ricorrenza cittadina, come avverrà tra poco con alcuni dipinti di paesaggi e scorci lacustri legati a percorsi sul territorio. Nel frattempo le opere dei depositi continuano a essere prestate ai musei che ne fanno richiesta per le loro mostre “in cambio” di migliorie come cornici e vetri adatti all’esposizione o restauri, puliture, indagini diagnostiche.
E pensare di utilizzare le opere in deposito per creare direttamente voi dei format, delle mostre da prestare, come già fanno altri musei?
Lo stiamo già facendo con la mostra “Antonio Sant’Elia. All’origine del Progetto” ospitata qui nel 2016. Il format, ampliato con l’aggiunta di altri pezzi, ha ottenuto l’approvazione della giunta e sta per essere portato all’estero. Speriamo rappresenti un modello virtuoso da seguire anche per la creazione di altre mostre
Potevo chiedere di più? Ma proprio quando già sembrava che ogni desiderio fosse stato esaudito, ecco che scopri una Pinacoteca cui, addirittura, finalmente cominciano ad andare stretti addirittura i suoi stessi muri. Talmente stretti che senti parlare di ipotesi di recupero degli edifici inutilizzati adiacenti al Museo Archeologico per creare nuovi spazi al servizio dell’attività didattica, magari anche una caffetteria e un bookshop degno di questo nome.
E poi, perché no, spostare lì la sezione medievale, attualmente ospitata in Pinacoteca, per liberare e riorganizzare meglio gli spazi espositivi in attesa, chissà, di un Museo alla Casa del Fascio o della quadreria spostata in una Villa Olmo interamente restaurata. O di progetti ancora più ambiziosi che possano aprire finalmente le porte all’arte contemporanea e alle donazioni di collezionisti privati.
Intendiamoci, c’è tanto, tantissimo da fare, e soprattutto da concretizzare. Ma insomma, la Pinacoteca sembra essere partita con il piede giusto. Ed ecco come, a sorpresa, il lavoro silenzioso (troppo) di qualcuno ti costringe, felicemente, a un inaspettato, graditissimo, mea culpa.
Un commento
Ottimo. Amo la città di Como. penso pero’ che l’arte contemporanea andrebbe valorizzata di piu’ per non ridursi alle solite mostre d’elite, solo per gli addetti ai lavori. L’arte è di tutti. Tutti scatenano la propria immaginazione guardando un opera d’arte, non è importante capire; è importante sentire la libertà di pensiero che l’artista descrive e mostra al pubblico, non solo all elite. Saluti da Londra.