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L’angoscia della cuoca, il papà ultrà e poi l’acclamazione: Como e la battaglia delle mense

Alla fine, per acclamazione, i circa 200 tra mamme, papà e cuoche presenti ieri sera nell’Aula Magna della scuola Parini di Como per la riunione sul futuro delle mense scolastiche comunali, hanno consegnato il futuro loro, dei loro bambini e dei lavoratori a Cgil, Cisl e Uil. In sostanza cosa accadrà? Che i sindacati chiederanno formalmente al Comune di indire un’assemblea tematica – dunque con confronto diretto, pubblico e aperto – sul tema dell’annunciata privatizzazione di circa 1.800 pasti sui 4mila preparati oggi nelle varie mense comunali. Un passaggio già ribadito ufficialmente da due assessori, Amelia Locatelli (Politiche Educative) e Laura Negretti (Personale), sulla scorta di una tassativa indicazione della segreteria generale circa l’impossibilità di rinnovare anche il prossimo anno 47 contratti di personale a tempo determinato. Da qui – secondo l’amministrazione Landriscina – la necessità di appaltare all’esterno i 1.800 pasti preparati oggi anche grazie all’ausilio di quelle persone. Il che significherà che quasi il 50% dei pasti, a settembre, sarà preparato altrove da un privato e trasportato nelle scuole, mentre la restante metà continuerà a essere cucinato nelle strutture attive.

A dire il vero ieri sera, i momenti di confusione tra il pubblico su cosa stia accadendo e cosa accadrà non sono mancati. Tanto che è toccato più volte a Matteo Mandressi (Cgil) e Vincenzo Falanga (Uil) riportare la discussione e gli interventi sul focus, sintetizzato più volte così: “Il Comune ha deciso di privatizzare, senza mai davvero prendere in considerazione altre strade. E’ il primo passo per una privatizzazione totale del servizio e sappiamo che anche in termini di qualità, un servizio comunale finito in mano ai privati non ne ha mai guadagnato”. Mandressi – oltre ad annunciare che se non sarà concessa dal Comune l’assemblea tematica, verranno raccolte le 400 firme necessarie per ottenerla – ha anche specificato che oggi il servizio è “quasi totalmente autofinanziato” e che “in 12 anno il personale è passato da costi per 2,2 milioni a 1,4 mentre il pasto singolo è sceso da 5.46 euro a 4.05, eppure il Comune vuole comunque privatizzare”. Dal canto loro, le sigle sindacali hanno ribadito che un punto unico di cottura nelle vecchie cucine dell’ospedale Sant’Anna – almeno per i pasti destinati a essere esternalizzati da settembre – è ritenuta ancora un’opzione valida e possibile. E su questa punteranno nella trattativa con la giunta (se trattativa sarà “concessa”).

Molti sono stati gli interventi dal pubblico presente. Uno in particolare ha colpito l’uditorio, la testimonianza di una cuoca in servizio per il Comune che ha parlato apertamente dello stato di angoscia che vive il personale di fronte alle prospettive di privatizzazione.

Nel corso della discussione, i sindacati hanno spiegato che tra le motivazione addotte dal Comune per bocciare l’eventuale ripresa del progetto sul punto unico di cottura da realizzarsi nelle vecchie cucine del Sant’Anna in via Napoleona, ci sarebbero i tempi di realizzazione tra appalto e lavori: “Hanno detto che ci vorrebbero fino a 4 anni tra tutto”, ha specificato Mandressi. Un papà di origine sarda, incredulo, ha irriso la tempistica portando l’esempio del nuovo stadio di Cagliari.

Non è mancato anche qualche intervento più energico: un papà ha invitato la folla presente ad andare a manifestare in massa in Comune, assieme ai sindacati e ai familiari.

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Un commento

  1. viene detto che non è possibile rinnovare questi contratti, ma quale è la motivazione? fino ad ora come è stato gestito il servizio mensa? questa problematica è sorta dal nulla o causata dalla mancanza di decisioni o di iniziative volte a risolvere problemi amministrativi? per la mia personale esperienza il servizio comunale funziona bene, non capisco la volontà di abbandonare un’attività così concreta e pratica, dove in più è necessario garantire adeguati standard qualitativi.

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