Sembrano oramai ridotte alla mera preghiera – per non dire completamente azzerate – le possibilità che Como abbia un assessore regionale nella prossima giunta guidata dal leghista Attilio Fontana. Lo stesso presidente dell’esecutivo lombardo ha annunciato che la lista dei componenti sarà resa nota entro martedì ma i giochi sembrano fatti. E in un quadro che – in base alla formazione a 16 o 14 assessori – vedrà la Lega averne 7 o 8, Forza Italia 4 o 5, Fratelli d’Italia 2 o 1, la lista Fontana uno e forse persino Noi con l’Italia uno, nel drappello berlusconiano non risulta esserci Alessandro Fermi nonostante le oltre 8.600 preferenze. Una vera beffa, dunque, per il territorio comasco, che dopo 13 anni di attesa e alla luce dell’ottima performance personale del coordinatore azzurro, ha lungamente creduto nel ritorno a una rappresentatività nella stanza dove il potere si respira davvero.
Lo stesso Fermi, a dire il vero, non più tardi di 8 giorni fa, durante la festa con i supporters al Castello di Casiglio, aveva apertamente parlato di una sorta di “diritto naturale” suo e del territorio a tornare nella giunta milanese, rivelando di aver rifiutato l’offerta compensativa della presidenza del consiglio regionale. Eppure la resilienza del sottosegretario uscente e una settimana in più di trattative non sembrano aver modificato di un centimetro la situazione. Ad oggi, nelle liste ufficiose che circolano tra le segreterie politiche del centrodestra, il nome di Alessandro Fermi non c’è. Resta solo da vedere, a questo punto, se comunque – pur obtorto collo – Fermi accetterà l’incarico di riserva, per quanto prestigioso, oppure no (la sensazione è che alla fine si vada comprensibilmente verso il sì).
Questa probabile esclusione dall’esecutivo, tra l’altro, porta in dote un altro danno collaterale per il territorio e per la stessa Forza Italia. Come noto, infatti, l’ingresso in giunta di Fermi avrebbe liberato automaticamente il corrispondente posto in consiglio regionale, cosa che avrebbe permesso l’ingresso nell’aula milanese di Federica Bernardi (giunta subito dietro a Fermi nel conteggio delle preferenze e davanti a Domiziana Giola, che pure ha chiesto il riconteggio delle schede). Anche questo gioco al traino, invece, con ogni probabilità di non si verificherà. Togliendo un ulteriore rappresentante della provincia dall’aula.
Fin qui, dunque, la cronaca. Che, però – in assenza di clamorosi colpi di scena sul filo di lana – offre almeno un paio di altri spunti di riflessione. Ad esempio, sul peso politico della provincia di Como in generale e della stessa Forza Italia in particolare.
Per quanto riguarda il primo aspetto, la porta sbarrata a Fermi – al di là della possibile “onorificenza” della presidenza del consiglio regionale – è una porta addirittura chiusa in faccia a un nutrito gruppo di alti papaveri dell’economia comasca. Difficile dimenticare, infatti, il coro – a questo punto di “voci bianche” – che già nei primi giorni di spifferi gelidi post voto provenienti da Milano, si levò da artigiani, industriali, imprenditori vari con annesse sigle di categoria a sostegno della nomina ad assessore di Fermi.
Alti lai, “prepotenti” rivendicazioni di rappresentatività e peso a cui Attilio Fontana per primo e le segreterie politiche del centrodestra subito dopo (in primis quella forzista di Mariastella Gelmini, che pare avere il gusto sadico di bastonare gli azzurri comaschi: ricordate il caso Veronelli alle comunali e le liste senza comaschi per le Politiche?) hanno risposto con una sostanziale pernacchia. La Como tessile, la Como meccanica, la Como del legno, la Como dell’artigiano infaticabile, la Como delle professioni con gli occhi dolci per il virile centrodestra prealpino, la Como del lago più bello del mondo hanno soffiato nel vento con un unico risultato: essere completamente ignorati a dispetto di ogni rimostranza e fatturato. Servirebbe, forse, un momento di autocoscienza collettiva in questo meraviglioso mondo dell’economia comasca, che tale è certamente quando c’è da produrre in fabbrica, distribuire ricchezza, portare a spasso il genio della provincia e delle singole aziende nel globo terracqueo, ma che – da 13 anni almeno, come abbiamo visto – si rivela di una debolezza quasi malinconica a livello istituzionale, soprattutto quando c’è da vincere qualche battaglia sui tavoli che contano.
Si dirà che, tutto sommato, il Lario – con 8 parlamentari freschi di elezione – avrà certamente un proprio cordone di protezione e valorizzazione a Roma, dove si giocano le partite decisive sul serio. Vero, in parte. Altrettanto vero, però, che i meccanismi di composizioni delle liste per Camera e Senato, e ancor più l’elezione dei singoli, sono dipese da tali e tanti fattori persino imperscrutabili (uno su tutti: la legge elettorale) che ben poche medaglie si può appuntare sul bavero il mitologico “Territorio”.
Ma veniamo al secondo aspetto, peraltro già accennato. Ovvero il ruolo del partito di Alessandro Fermi, quella Forza Italia entrata forse nella sua parabola triste solitaria y final, come dimostrano le percentuali in caduta libera e l’annaspare disperato sia a Milano che nella Capitale di fronte al neoimpero leghista e – soprattutto all’ombra del Colosseo – a tinte Cinquestelle. Beh, qui il giudizio – se davvero il coordinatore provinciale del partito rimanesse escluso dalla giunta – è imbarazzante.
La surreale vicenda che portò Mariastella Gelmini a bruciare in piazza un nome come quello di Anna Veronelli sull’altare di una furia iconoclasta senza alcun senso alla vigilia delle scorse comunali fu soltanto l’antipasto dell’autodistruzione compiuta ora. La composizione delle liste comasche per le Politiche – dove forse pure lo stesso Fermi, come la stella nera Gelmini, per il Lario poteva fare di più e meglio – è stato un esempio di politica contro un territorio, tra nomi paracadutati, assenza di comaschi in posizioni eleggibili, una campagna elettorale locale del tutto impalpabile. Così, la nostra provincia troverà a Roma come propri rappresentati in Parlamento veri e propri “Ufo” quali Adriano Galliani, Licia Ronzulli e Laura Ravetto, totalmente slegati da un vero senso di appartenenza e rappresentanza del Lario. E ora, in ambito regionale, si profila la già ampiamente discussa esclusione di Fermi, delle sue 8.600 preferenze e dei suoi dichiarati sostenitori istituzionali e para-istituzionali.
Insomma, l’apparato politico-economico comasco nel suo complesso sconta ancora una evidente debolezza – assenza di vera classe dirigente? – rispetto a realtà anche simili (Varese su tutte). Ma di sicuro quando la seconda gamba del centrodestra, ai suoi livelli regionali, gioca a farsi del male da sola, come fai a meravigliarti delle porte in faccia e dell’irresistibile richiamo della base elettorale verso un giovanotto chiamato Matteo Salvini?
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4 Commenti
Da oltre un decennio Como è diventata vassallo di Varese. Servirebbe autocoscienza ma anche autocritica di chi siede ai tavoli, quello della competitività in primis, per aver assunto posizioni che hanno marginalizzato il territorio lariano: la vicenda Asst docet, peraltro ultima in ordine temporale.
Siamo diventati un feudo di Cuneo, poveri noi…
Chissà se riusciremo a vedere un assessore al Turismo del Lago di Como?
La Provincia di Como è la terza destinazione turistica in Lombardia 2017 oltre 3 mil di presenze!
Da sempre la palla se la passano Milano e Brescia e noi?
Zanello, Prosperini, Maullu, Peroni, Bolzetti, Cavalli,Parolini
Riconoscete un comasco nei sette passati assessori?
A te Emanuele lo scettro , e che polemica sia ?
Da oltre 30 anni siamo solamente terra di conquista, ascoltiamo speranzosi mille promesse elettorali, ma poi alla fine comandano sempre quelli di Varese,ma la colpa è solo nostra, gli altri sul territorio sanno fanno fare squadra,qui si sa solo litigare, ed alla fine anche i “pierini” da 8000 preferenze vengono messi da parte….