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Punti di vista

Chi le tocca (politicamente) muore. O comunque benissimo non sta

In principio fu Anna Veronelli. Che è viva, vegeta e magrissima, per carità. Ma a mandato appena iniziato – diciamo, tra l’autunno 2017 e l’inverno 2018 – tentò più volte di arginare l’esondazione di potere delle due Zarine, Elena Negretti e Alessandra Locatelli.

Novella Titti guerriera (non proprio la sua indole naturale), Veronelli contestò apertamente il vicesindaco leghista sulla gestione dei servizi sociali, soprattutto in relazione a barriere architettoniche disabilità; in parallelo l’Annina arrivò a uno scontro verbale inaudito con Negretti (in piena aula consiliare, davanti a basiti testimoni) in una notte di dicembre 2017, quando l’esile corpicino della presidente del consiglio comunale tentava anche di fare scudo a un’altra donna azzurra nel mirino delle Zarine, l’ex assessore Amelia Locatelli (e torneremo, su di lei).

Come è finita? Diciamo senza vincitori né vinti. Le Zarine imperano, inscalfite e apparentemente inscalfibili. Veronelli si è ritirata – con qualche lividino – dal campo di battaglia e dalla logica dello scontro aperto, per vestire (bene) quasi soltanto i panni del ruolo istituzionale che ricopre. Una tregua immersa nel ghiaccio e con una puntina di veleno, insomma.

Dicevamo di Amelia Locatelli. Apprezzata a livello trasversale, moderata (ma non molle) di natura, il nuovo appalto sulle mense portato “a casa” senza apparenti traumi dopo timori e polemiche, il suo addio da assessore alla giunta Landriscina rimane ancora una ferita aperta.

Nacque, quel colpo di cesoie all’esperienza a Palazzo Cernezzi, per logiche molto politiche (il famoso/famigerato diktat dei vertici di Forza Italia per dare un segnale forte di malcontento e sveglia a sindaco e Zarine, nel novembre scorso), ma i rapporti tra Amelia e il tandem cingolato Locatelli-Negretti erano ai minimi termini da mesi. Modi, tempi, approcci alla gestione della cosa pubblica sideralmente lontani. E incomunicanti.

Alla fine, però, quel che resta sono i fatti, più che le narrazioni. E i fatti dicono che la tolda di comando a Palazzo Cernezzi è in mano a Elena&Ale, mentre il ricordo di Amelia sbiadisce all’orizzonte. Lontano da una giunta vissuta forse troppo poco. E chissà, magari, da riprovare.

Non fosse che Patrizia Maesani ha mille vite e la cattiveria minima di un Grizzly, quando vuole, si potrebbe persino includere anche lei tra le “vittime” del duo terribile.

Ricordate? Di fronte all’immediato marchio turboleghista impresso da Locatelli alla generale questione migranti/senzatetto, con l’apice della chiusura del centro di via Regina, Maesani (in totale disaccordo con quella linea-panzer) abbandonò clamorosamente il ruolo da capogruppo di Fratelli d’Italia. Lo fece chiarissimamente in antitesi al tentativo di dominio delle Zarine, leoninamente “combattute” sin dal primo giorno di mandato, ma anche per una coerenza propria e pure per dare un segnale di scontento ai vertici (timidi) del suo stesso partito sui temi in questione.

Dunque, dichiararla soccombente in assoluto non si può. Ma, un po’ come negli altri casi, alla fine il centro migranti ha chiuso, la stazione San Giovanni non aprì in pieno inverno per i clochard come sarebbe piaciuto a Maesani e il capogruppo di FdI è (per ora) Matteo Ferretti. Che poi “la Patrizia” sia sempre un po’ capogruppo a prescindere, la testa la rompa ma non la pieghi e abbia regalato ai posteri questo tsunami di accuse alle Zarine, è un’altra storia. Botte da orbi, dunque, ma a pari merito.

Infine, lei, l’ultima vittima sacrificale: la “fu” SuperSimo Rossotti. Arrivata al passo d’addio, come noto (e ampiamente spiegato qui).

Tanti i motivi: disillusione, amarezze, naturalmente qualche passo falso ma anche qui il muro di ostilità eretto nei confronti dell’ormai ex assessore alla Cultura da parte delle due Zarine è stato spietato, invalicabile, senza margini. Troppo iperattiva, troppo anarchica, troppo Super quella piemontesina che ha avuto l’ardire di portare a Como il Giro d’Italia con un paio di blitz (roba che farebbe la felicità di qualsiasi città con aspirazioni, se non vocazione, internazionale e che a Como invece è materia paragonata a un festival della cotica come un altro).

Partita chiusa: Simo lascia, messa alle strette, isolata ma con un guizzo di orgoglio sabaudo tutto suo. Però, alla fine, chi lascia è lei.

Insomma, chi tocca le Zarine, in quel palazzo (politicamente) muore o deve reinventarsi una trincea tra sciabole, corridoi e scranni. Eppure, anche la giunta forse benissimo non sta. Alchimie e bizzarrie del Cernezzi.

E la storia continua.

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6 Commenti

  1. Solo a Como cambiano tutti gli attori ma la trama mai! La morale é che la città langue sotto la destra come alla sinistra! Per avere una giunta in grazia di Dio… Si risale alla prima giunta Alberto Botta… Il perché é chiaro…. Allora i partiti erano ai minimi termini!
    Che sciatteria!

  2. …..e pensare che si diceva che quelli di prima litigassero su tutto!!!
    Questa Amministrazione conclude poco, Sono molto bravi ad accanirsi contro i poveracci e a progettare parcheggi.
    Però per gli appassionati delle Telenovelas è una pacchia. Una trama così incasinata: la buona in lacrime, le cattive che ridono per le disgrazie altrui, il papà buono ma succube delle cattive. Poi abbiamo il ragazzino ribelle che manda a quel paese tutti, un altro simpatico ma non molto sveglio manca solo la cattivissima che umilia i poveracci…..no! Quella l’abbiamo…..ahimè!
    Mi sa che mancano solo l’eroe e l’eroina…o ci sono ma si nascondono? Vedremo alla prossima puntata.

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