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Como, la lettera piena di amarezza di un’insegnante di sostegno: “Sindaco, è stato doloroso ascoltarla”

Come altre testate, riceviamo e volentieri pubblichiamo la lunga lettera di Yleania Erario che come “cittadina di Como, mamma e insegnante di Sostegno” che esprime la profonda amarezza per i toni e modi usati dal sindaco di Como Alessandro Rapinese nel consiglio comunale dello scorso 1° ottobre a proposito del futuro (e delle chiusure) delle scuole di Como.
Di seguito, il testo integrale.

Signor Sindaco,
come cittadina di Como, mamma e insegnante di Sostegno, nonché Funzione Strumentale per l’Inclusione, ho seguito con attenzione il dibattito relativo al piano di riorganizzazione della rete scolastica per l’anno 2026/2027, punto affrontato e deliberato nel corso del Consiglio Comunale dell’1 ottobre 2025.

E’ stato doloroso ascoltarla parlare con così tanta sfrontatezza e mancanza di pudore dei luoghi di cui noi Insegnanti ci prendiamo quotidianamente cura, perché sa… (come da sua ripetuta definizione data alle strutture scolastiche comasche) anche dei “cessi” bisogna prendersi cura affinché continuino a funzionare adeguatamente e decorosamente nonostante l’assenza degli interventi degli enti locali.

Non è stato semplice filtrare le sue dichiarazioni rispetto all’inutilità (sempre come da sua ripetuta citazione) delle “aule dei baci-degli abbracci-del cucù”. All’interno di questa nuova categoria di ambienti scolastici da lei coniata, appunto “stanze del cucù”, ci sono anche i luoghi in cui noi docenti di sostegno lavoriamo, fianco a fianco, con i nostri alunni che quotidianamente devono imparare a gestire il gravoso peso della disabilità.

Nelle “stanze del cucù” noi Insegnanti garantiamo un angolo di pace a questi bambini e ragazzi quando si sentono sopraffatti dalla realtà circostante.

Nelle “stanze del cucù” noi Insegnanti supportiamo questi bambini e ragazzi quando i contenuti educativo-didattici del gruppo classe sono troppo pesanti per essere assimilati da chi è caratterizzato da un funzionamento atipico.

Nelle “stanze del cucù” noi Insegnanti costruiamo una relazione, ritagliando piccoli pezzi di giornata scolastica per rapportarci “uno a uno” con i bimbi più fragili che faticano a focalizzarsi sull’altro in contesti caotici come, banalmente, potrebbe essere una classe nel momento della ricreazione.

Nelle “stanze del cucù” noi Insegnanti conteniamo crisi di alunni che non sanno gestire le proprie emozioni ed i propri comportamenti problema. Sindaco: ha mai provato a contenere un bambino con Sindrome dello Spettro Autistico o Disturbo Oppositivo Provocatorio o Disturbo Comportamentale mentre perde la percezione di sé stesso e l’unico modo per ritrovare quella stessa percezione è cercare di arrecarsi dolore (e la morbida “stanze del cucù” è l’unico luogo in cui poterlo fare)? Ma no, certo che no, lei tutto questo non l’ha mai provato altrimenti non si permetterebbe di parlare di questi spazi con così tanta leggerezza e disprezzo, come se si trattasse di luoghi frivoli nati dal capriccio di quattro docenti hippie.

Le “stanze del cucù” sono veri e propri spazi educativi in cui “si fa scuola”, una scuola per tutti. Sono luoghi in cui si creano e si rafforzano le relazioni, si consolidano gli apprendimenti e si percorrono strade pedagogiche che conducono alla valorizzazione del singolo. Sono luoghi in cui i bimbi e i ragazzi con disabilità possono concedersi una pausa dal mondo esterno, rialzarsi dopo una caduta, e ripartire con il gruppo dei pari con la giusta dose di serenità ritrovata.

Ecco Sindaco, per tutti questi motivi le dico che no, non possiamo rinunciare alle nostre stanze del cucù”. Rinunciarvi equivarrebbe a togliere il giubbotto di salvataggio a chi sta imparando a nuotare. E noi, come comunità educante, e come città, non possiamo permettercelo.

Ylenia Erario

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