Centro di Via Regina, quasi chiuso. Panchine di piazza San Rocco, estirpate come ciuffi di gramigna. Dormitorio improvvisato nell’ex chiesa di San Francesco, prossimo allo sgombero e, come sgradevolmente qualcuno dice, “sanificato” all’alba con i senzatetto spostati sotto la pioggia.
Le azioni di sottrazione, chiusura e rimozione sono chiarissime. D’altronde il partito cardine dell’amministrazione Landriscina, la Lega, non ha mai nascosto l’intenzione di voler eliminare drasticamente, in fretta e senza troppa mediazione quanto ritiene essere il fulcro di tutti i problemi politici, civili e sociali di questa città (e dell’intero Paese): l’immigrato e l’immigrazione.
Quindi c’è una coerenza cristallina tra dichiarazione e azione.
Poi nella grande casa del centrodestra non tutti seguono il solco della ruota padana. L’ex assessore Sergio Gaddi, per dire, riferendosi alle panchine di piazza San Rocco ha parlato di azione “disgustosa” e ha pure denunciato come “i temi sociali sono il nervo scoperto di questa amministrazione, è bene che il sindaco prima o poi si occupi delle questioni. Non si scappa” (qui).
Per stare nella stessa zona d’afferenza, anche il deputato di Fratelli d’Italia, Alessio Butti, quindi non un malinconico Folagra, ha espresso più di qualche perplessità sulla chiusura del Centro di Via Regina (qui)
Non è bastato l’attacco di Forza Nuova a don Giusto della Valle (qui), non sono bastate le uova contro un migrante (qui) perché il sindaco, Mario Landriscina, prendesse posizione.
E’ legittimo che una coalizione di centrodestra decida con quale spirito (e pensiero) si debba affrontare il doppio tema: migranti-senzatetto.
E’ altrettanto legittimo però aspettarsi che di fronte a episodi che chiedono giocoforza dichiarazioni politiche chiare, il primo cittadino segni una linea non transitabile, stabilisca cosa è negoziabile e cosa valica il diritto della persona.
Al momento, dispiace dirlo, ma quanto Mario Landriscina definisce “basso profilo” o “voglia di non fomentare” pare soltanto il timore di non scaldare l’animo del fiero alleato padano.
Ieri, interpellato da questa testata dopo le accuse in consiglio comunale sul caso Don Giusto, con un intreccio avvolto di giustificazionismo difficilmente dipanabile a una prima lettura il sindaco ha detto: “Come in tutte le altre faccende che hanno riguardato la città, e specialmente in quelle fortemente divisive, guardo con perplessità le posizioni che ci allontanano dall’equilibrio e dalla mediazione. Tra l’altro sono solito avere confronti riservati con le parti, un metodo che preferisco perché auspico sempre che in tutti prevalga il senso di responsabilità, che aiuta a rendere la città meno divisa”.
Che la politica sia fatta anche di incontri riservati, lo sappiamo tutti. Ma che un sindaco non indichi un orizzonte, un metodo, un approccio (soprattutto quando si tratta di temi etici e morali) non è accettabile. La città meno divisa passa per l’azione unificante di un leader che pubblicamente riconosca giusto e sbagliato, corretto e scorretto.
Altrimenti i “confronti riservati” appariranno più come arroccamenti silenziosi, tra le stanze di un Palazzo dove il primo cittadino sembrerà sempre più solo e ostaggio piuttosto che un libero condottiero in testa alla sua truppa.
Prima di varcare le soglie del Cernezzi di Landriscina molto si poteva dire ma non che mancasse della forza delle opinioni, la muscolarità di un decisionismo tutto sommato (pure nell’errore, che ci sta) animato da buona fede. Il 118 è una struttura necessariamente verticistica dove si salvano vite, una decisione può ribaltare intere esistenze. Bisogna essere veloci, non esitare e agire assumendosi enormi fattori di rischio.
La politica viceversa è magma, roba paludosa, lenta, appiccicaticcia. E forse la macchina amministrativa non è il sistema migliore, né il più rodato, per un medico rianimatore abituato a una stretta collisione tra azione e pensiero. Eppure se Landriscina, strappata camicia e cravatta, mostrasse ancora una punta di camice e fierezza potrebbe tornare a essere (che poi piaccia o meno è altra cosa) l’uomo forte e profondamente umano che fino a un anno e mezzo fa è sempre stato.
Un commento
Egregio Signor Sindaco, col massimo rispetto vorrei ricordarLe che Como è la città di sant ‘ Abbondio, non di don Abbondio! Vorrei che il Sindaco, di fronte ai fatti più recenti sul tema dell ‘ accoglienza dei migranti e dei senza tetto in città, esprimesse una reazione personale, possibilmente col senso di umanità che non può aver perduto, vista la sua passata esperienza di vita in mezzo alle persone che soffrono. Altrimenti, come l ‘ attuale Presidente del Consiglio, rischia di apparire ” il vice dei propri vice “…senza polemica..