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Punti di vista

Pettena, 50 anni di panni stesi in casa propria. Cari polemisti, a dirla tutta parliamo di una (bella) replica

No, promesso, non è un altro spiegone sull’idioletto estetico dell’artista e sul senso dell’opera nello spazio, nella società e blabla.

Quello lo abbiamo già propinato qualche giorno fa dopo l’arrivo dell’installazione di Gaetano Pesce, Maestà Sofferente, a Cantù:

Scandaloso (?) Pesce a Cantù. Ecco ‘Maestà sofferente’ per le donne, con le donne contro 

Stiamo al semplicissimo confronto: ieri-oggi.

Perché a dirla tutta ha ragione la Fiorella, “cambia il vento ma noi no”: sono passati 50 anni e sembra che la microsocietà comasca sia ancora ben piantata nel secolo scorso.

La riproposizione di “Laundry” opera di Gianni Pettena installata nel 1969 in occasione di Campo Urbano, evento d’arte diffusa curato da Luciano Caramel (nella truppa dei 50 artisti coinvolti anche Ico Parisi e Francesco Somaini), ha scatenato le stesse reazioni di allora.

Con spruzzata digital, la chiacchiera da bar si estende (e peggiora) nel social e scatena orde di autoproclamati critici dell’ultim’ora.

Ma è bene, è giusto, la funzione dell’opera è esattamente questa.

A nessuno interessa l’addomesticamento dell’arte, l’installazione circoscritta nello spazio dell’accettabile è una noia mortale che sa di provocazione istituzionalmente concessa.

Quindi: “sì, il dibattito sì”, per parafrasare.

Così è accaduto che

1 – Panni d’autore stesi in Piazza Duomo: stupore e critiche. Poi fanno una brutta fine (artistica?)

2 – Brenna: “Toro e panni stesi ben vengano. Oltre coni gelato e shopping fugace (forse) cieco 

3 – Como, il Duomo “scomunica” l’arte dei panni stesi: “Con che criterio è stata permessa?” 

LAUNDRY – 1969, SFOGLIA

Viene davvero da pensare al coraggio di Caramel (gioiello comasco: critico, storico e docente d’arte, curatore all’epoca 30enne).

Se dopo 50 anni il dualismo pro-contro è ancora tanto evidente bisogna chiedersi quanto sia stata choccante l’installazione mezzo secolo fa.

Resta però che la replica di oggi è appunto una replica. Giusta, commovente, ma pur sempre un omaggio alla memoria, una celebrazione.

Se l’arte è, anche, principio della primogenitura, allora (nonostante la pioggia) quanto abbiamo visto realizzare sabato in piazza Duomo ha più a che fare col cinema d’essai che con la ricerca cruda, la provocazione tonante.

LAUNDRY – 2019, SFOGLIA

E’ una cosa che chi urla allo “scandalo”, alla “profanazione”, dovrebbe ricordare. Poi, meglio così, significa che ci sono cose che restano, pensieri la cui capacità di radicalizzazione non invecchia. Scrivevamo qualche giorno fa:

Se una cosa ha insegnato il secolo breve (inteso come il ‘900, non il saggio di Hobsbawm – che pure ne ha coniato la definizione – citato sempre a casacciopartendo in nuce da Walter Benjamin e gli altri a seguireè che alla fine ogni cosa sta (anche e soprattutto) nella domanda.

L’opera, generata e non creata, il metodo di realizzazione, il suo invecchiamento e la storia stessa dell’artista sono parte genetica del quesito: “Questa è arte?“.

Ecco.

 

 

 

 

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