Il mito della scuola svizzera, e in particolar modo in Canton Ticino, fatto a pezzi da una giornalista, Antonella Rainoldi, e da un docente, Roberto Caruso, che hanno affidato una sorta di ‘sfogo-controverità’ alla rubrica dei contributoi sul Fatto Quotidiano. Eloquente già il titolo del testo: ‘Da voi nella Svizzera italiana’ anche i prof stanno meglio. Sfatiamo il mito: ecco cosa accade’.
Citando anche un’inchiesta del programma Rai Presa Diretta, i due premettono che “ogni qualvolta le Procure della Repubblica di tutta Italia mettono il naso e le microspie dentro i concorsi salta fuori uno dei grandi mali dell’alta formazione: la sistematica programmazione della sistemazione delle carriere. Se non fai parte del sistema e non aspiri al titolo di neoliberto ma sei solo un docente molto bravo, consapevole della tua professionalità e del tuo valore, restio a ogni compromesso, ti isolano”
Ma subito scatta il parallelo con quanto accadrebbe in Svizzera, solitamente ritenuta un esempio modello. “In Svizzera – scrivono Rainoldi e Caruso – le cose non vanno molto diversamente: premiare il merito e assumere i migliori non è la prima preoccupazione di chi sceglie i docenti. La confederazione elvetica non è il bengodi che molti decantano o immaginano, non è utopia né distopia. Certi personaggi e situazioni ce li possiamo permettere anche noi”.
“Prendiamo la Svizzera italiana, dove siamo nati e cresciuti e dove viviamo – proseguono – La scuola ticinese è una grande famiglia in cui il sangue fa premio sulla competenza e l’appartenenza sul merito. In assenza di legami di parentela o di affiliazione (politica, di clan: poco fa la differenza), il vincolo dell’obbedienza li sostituisce. Nelle scuole pubbliche di ogni ordine e grado sono attivi complessivamente poco più di 6000 docenti, di cui 512 sprovvisti delle qualifiche necessarie per l’insegnamento. Ci sono docenti in possesso dei titoli richiesti (anzi, più dei titoli richiesti) costretti a cercare soluzioni altrove. Questa è spesso la triste realtà: nelle scuole ticinesi i posti si apparecchiano, non si vincono”.
Insomma, parole durissime a cui poi fa seguito lo sconforto per la difficoltà di far valere le proprie ragioni. Ma non basta.
“Come noto, la Svizzera è caratterizzata da un diritto del lavoro di tipo liberale, dove non è prevista una tutela forte del lavoratore – aggiungono la giornalista e il docente – Nel nostro Paese viviamo un insieme caotico di accadimenti che sembrano appartenere alla trama di un noir grottesco con fazioni contrapposte e complementari: da una parte quelli che hanno un atteggiamento ostile, improntato alla supponenza e alla presunzione; dall’altra quelli che non godono di santi in terra né in paradiso, i destinati all’emarginazione, in qualche modo i nati respinti”.
Drastica la frase finale: “Pochi si aspetterebbero di trovare nel centro rossocrociato dell’Europa italofona un territorio inquinato da atteggiamenti di arroganza e da forme latenti di sopraffazione. Ubique medius caelus est”.