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Como, clamoroso addio del direttore Aquilini al Museo della Seta: “Divergenze con i vertici, meglio separarci”

Il Museo della Seta perde il suo direttore. A fine dicembre, dopo sei anni alla guida del gioiellino comasco di via Castelnuovo, infatti, Paolo Aquilini lascia la direzione lasciando “orfano” non solo il Museo, ma l’intera città, di un professionista visionario e dal tocco davvero magico. Sotto la sua guida, primo direttore in assoluto nella storia di questa istituzione, il Museo della Seta – al cui ‘governo’ partecipano anche Comune, Provincia e Camera di Commercio oltre a numerose categorie imprenditoriali – infatti non solo ha notevolmente incrementato il numero dei visitatori, passati da quasi 6mila agli oltre 11mila di quest’anno, ma ha anche perseguito con grande convinzione una politica, praticamente unica nel suo genere in città, di accessibilità a ogni tipo di pubblico, con un occhio di riguardo alle categorie più fragili, grazie a percorsi e innovazioni studiate ad hoc per rendere fruibili e comprensibili da tutti i suoi tesori.

La sua è una vera e propria uscita di scena a sorpresa. Come mai questa decisione di lasciare la direzione del Museo?
Ho scelto di chiudere la mia collaborazione da un lato perché per me è arrivato il momento di fare nuove esperienze, dall’altro perché io fin dal mio arrivo sono stato visto come un elemento di disgiunzione rispetto al passato, ma ora è percepibile il desiderio di tornare a fare altro e a me questo non interessa. Quando ti trovi davanti a certe difficoltà di dialogo con i tuoi vertici, è meglio che le strade si separino (qui soci, promotori, categorie e organizzazione del Museo della Seta).

Quindi la ragione non è la proposta di un nuovo incarico?
Sicuramente continuerò a lavorare nell’ambito museale perché è quello che so fare meglio e al momento ci sono alcune opportunità, ma ancora nulla di definito.

Lei è stato il primo direttore del Museo della Seta e quello che l’ha oggettivamente trasformato da preziosissimo patrimonio di memorie a luogo vivo e capace di dialogare con un pubblico sempre più ampio ed eterogeneo. Quale è stato il pensiero che ha guidato la sua direzione in questi anni?
Eike Schmidt, che a breve lascerà la direzione degli Uffizi per un nuovo incarico, ha detto di averli resi pop. Ecco, il mio obiettivo è stato questo: rendere il Museo della Seta un museo di tutti, comprensibile a un pubblico non solo più vasto, ma anche il più vario possibile.

E ci è riuscito?
Sì, me ne vado felice dei risultati che ho ottenuto. Quando sono arrivato, il museo era un posto in cui non si potevano neanche scattare le fotografie, un’esposizione che aveva bisogno di essere raccontata con un linguaggio diverso e di aprirsi al mondo e l’abbiamo fatto. Abbiamo lavorato sulla comunicazione, iniziato a organizzare mostre a ciclo continuo, ripensato completamente il percorso espositivo, stretto collaborazioni con altri musei come quello del Ghisallo e della Barca Lariana e siamo stati presenti più volte al Mercante in Fiera di Parma, con tutto il ritorno in termini di visibilità nazionale e internazionale, e siamo diventati un punto di riferimento autorevole differenziandoci notevolmente dalla maggior parte degli altri musei di tecnologia industriale. E poi abbiamo iniziato un lungo lavoro di analisi dei bisogni del pubblico e di frammentazione delle nostre proposte con l’obiettivo di diventare sempre più un museo “democratico”, un museo per tutti.

E come ci è riuscito?
Quando si parla di rendere fruibile a tutti un museo, non si intende organizzare laboratori per bambini o mostre che piacciono a chi le fa ma si tratta di capire cosa serve ad un pubblico il più possibile differenziato, che è quello che ho provato a fare fin da mio primo giorno. Sono partito con un primo bando per fornire tutte le sale di tavolette in Braille e poi non ho più smesso, tanto che finirò il mio incarico portando a termine il progetto finanziato dal Pnrr per 200mila euro che ci ha permesso di rendere fruibile il museo davvero da tutti in ben cinque modalità diverse: in maniera tradizionale con pannelli, audioguide in più lingue e strumenti interattivi, attraverso un App di gaming, attraverso un percorso per i non vedenti che prevede, accanto agli strumenti tattili, anche speciali radiofari in grado di mappare gli interi spazi e raccontare il percorso, attraverso video LIS che raccontano l’esposizione attraverso la lingua dei segni e, infine, attraverso un percorso olfattivo. A breve verrà anche concluso il nuovo ingresso con colori che ne aumentano la percettibilità e una nuova insegna a cui è stato tolta la parola “didattico”, perché ogni museo lo è. Oggi il Museo della Seta parla tante lingue diverse e la sua percezione da parte del pubblico è totalmente diversa, ma è stata una sfida complicatissima che posso dire di aver vinto in pieno tanto che il Miur, in un recente convegno, ci ha citati come esempio virtuoso.

Per quanto riguarda invece la parte più propriamente conservativa?
La semplice esposizione e conservazione sono una base imprescindibile per ogni museo, ma puntare solo su questo non è più sufficiente. Un museo è un polmone che scambia ossigeno con la città e che deve proporre sempre cose nuove, parlare lingue nuove senza accomodarsi nella sua comfort zone ma, naturalmente, questo costa fatica.

Ora che se ne va, chi prenderà il suo posto?
Nessuno. C’è stata una ridistribuzione interna degli incarichi e basta. L’anno prossimo, poi, è prevista la nascita di una Fondazione partecipata che unirà il Museo della Seta alla Fondazione Setificio e all’Associazione Ex Allievi, vedremo cosa comporterà.

Quale sarebbe stato il suo prossimo obiettivo, se fosse rimasto alla guida del Museo della Seta?
Portarlo via da qui, trovare finalmente una nuova sede perché questo è un museo dalle mille potenzialità, che può essere raccontato in un’infinità di modi diversi. Ma non qui.

E cosa augura a chi, direttore o meno, gestirà il museo da gennaio?
Gli auguro di non pensare che musei siano estensione del proprio pensiero, ma un bene al servizio di tutti, una cosa democratica a cui bisogna togliere ogni velo di autoreferenzialità. E gli auguro di comprendere ciò che è stato fatto fino ad oggi e di non dimenticarlo. Questo non significa, si badi bene, continuare necessariamente lungo la strada dell’accessibilità intrapresa da Paolo Aquilini, anzi sarebbe un bene che non ci fosse continuità. Ben vengano idee diverse purché ci sia un chiaro pensiero di fondo a guidarle, una strategia convincente e un rinnovamento continuo dei linguaggi con cui ci si racconta perché la macchina di oggi è vecchia già nel momento in cui la compri. E senza un pensiero di fondo e un continuo rinnovamento sarebbe come mettere un vestito nuovo su un museo vecchio.

Como, le dimissioni Aquilini. Nota del Museo della Seta: Divergenze, è vero. Poi frecciata sulla “qualità”

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7 Commenti

  1. Grazie per quello che hai fatto in questi anni. Le tue capacità certamente ti consentiranno di costruire buone cose altrove.

  2. Mi dispiace Sig.Aquilini che se ne vada aveva creato un Museo molto vivo Le auguro ogni bene anche se non mi conosce personalmente forse il mio nome le dirà qualcosa

    E.V.

  3. RN direttore, e’ un pluri ex-allievo quindi chi meglio di lui? Ha esperienze in tessitura, tintoria e disegno.

  4. Che Como non riesca a trovare una sede più idonea per un museo che racconta la sua storia è indecente. Che perda un direttore del genere è tipico di chi la governa. Gente miope, inutile e al servizio di quattro bottegai.
    Si pensa solo ai parcheggi e basta

  5. Da co-fondatore del Museo della Seta, sono molto dispiaciuto e seriamente preoccupato. Paolo Aquilini ha portato innovazione al Museo. Non mi convince per nulla il ritorno al passato. Anche i musei evolvono e il luogo della storia dell’industria comasca più importante deve rappresentarne la vitalità.

    1. Lei ha il Nome le conoscenze e le capacità di dire la sua in questo campo…
      Lo faccia! A Como una cosa che manca è anche che “le personalità” cittadine rispetto ad altre realtà si oscurano meno coinvolgere ed hanno meno interessi nel farlo!

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