Dopo il lockdown dovuto all’epidemia Covid e dopo le parole, prevedibili ma comunque pesanti come macigni, del presidente di Confindustria Aram Manoukiam che, analizzando i dati sul primo trimestre economico del 2020 ha definito la situazione “drammatica” (qui l’articolo), abbiamo chiesto a Sandro Tessuto, presidente del gruppo Clerici Tessuto e consigliere di Amici di Como, di fare il punto sulla situazione circa il comparto serico comasco con un occhio, anche due, al futuro economico del territorio.
Quanto è grave la situazione per le industrie tessili e quanto ha risentito in termini di fatturato il vostro settore?
Quello che ha detto Manoukian è il minimo che si possa dire a livello locale ma, temo, anche a livello nazionale. Sono in crisi sia le piccole-medie aziende che le grandi. Speriamo di arrivare a fine luglio con qualche ordine per provare a salvare l’anno anche se, per il primo semestre, prevediamo perdite intorno al 45%.
Che impatti hanno avuto le misure di sicurezza imposte dagli ultimi decreti sui costi e l’efficienza della produzione?
Di per sé l’impatto è stato piuttosto irrilevante. Il vero problema è la mancanza di ordini che, almeno per la mia azienda, ci costringe a mantenere i dipendenti in cassa integrazione alternata. Le prospettive sono di prorogarla fino a settembre, ma poi? Il grosso rischio, se la situazione non cambia, è di avere un gran numero di disoccupati.
Nell’immediato, viste le difficoltà negli spostamenti all’estero e l’annullamento di molte fiere, come vede la possibile ripresa del settore?
Le rispondo in modo molto semplice: da un mese ho iniziato ad andare in bicicletta nel pomeriggio. È sempre più utile e interessante che restare in azienda a non fare niente. Non è possibile immaginare che i grandi brand pensino alle prossime collezioni senza vedere i tessuti, senza toccarli. Non basta un collegamento online in questo lavoro.
Sempre Manoukian ha invitato gli imprenditori a cambiare modo di ragionare, a ideare un nuovo modello di impresa. Cosa si può fare?
Tutto è migliorabile, ci mancherebbe. Veniamo da un 2019 magnifico e nel giro di tre mesi è crollato tutto ma il sistema, di per sé, andava bene così. Il problema ora sono i clienti, che sono ovviamente molto prudenti e attenti ai costi. E poi c’è il consumatore finale: chi comprerebbe oggi un abito da 2mila euro?
Quindi, si getta la spugna?
Tra due anni la mia azienda compie 100 anni, vuole che non ci arriviamo? Bisogna essere ottimisti e non smettere di lottare.