“Perché, diciamocelo, di chi va alle cene di chi, ai cittadini e a tanti militanti non frega assolutamente niente”. Nei giorni (politicamente) peggiori, è uno degli Stefano Fanetti migliori quello che sbuca dall’altro capo del telefono a metà pomeriggio di un molle lunedì. E con tono torrenziale l’ex segretario cittadino di Como, ora capogruppo dem in Comune, riversa in pagina tutto il malcontento per la situazione del Pd nazionale – e in parte anche locale – prendendo spunto dall’articolo intitolato “Caro Pd. Cari Lissi, Gaffuri, Fanetti: non meritate zombie e twittate al pepe verde. Ribellatevi”.
“Premetto che non è questione di trovare dei colpevoli assoluti e degli innocenti nella situazione attuale del Pd – afferma Fanetti – ma un dato è oggettivamente evidente: siamo un partito senza testa, i vertici nazionali mancano e da troppo tempo sono impegnati in una sorta di tutti contro tutti che non riesce più a indicare una direzione certa alle periferie, ai dirigenti e ai militanti locali, a quelle tantissime persone che nonostante tutto mettono nel Pd impegno, passione, tempo”.
Problema antico, ormai, quello dei dem. Forse atavico, di certo esploso durante le guerra per fazioni che ha contraddistinto l’intera “epoca Renzi” e giunto forse a un punto di non ritorno in queste ore, sintetizzate da un titolo dell’edizione odierna del Corriere della Sera: “Il Pd litiga anche a cena. Alla fine Calenda rinuncia” (pag 8, a firma di Dino Martirano).
“Massì, ma chissenefrega delle cene di Calenda, delle controcene di Zingaretti – sbotta Fanetti – Alla gente, mentre Lega e Cinque Stelle dominano e noi affondiamo in percentuali ridicole, di queste cose non interessa nulla. Anzi, aumentano lo smarrimento nelle realtà locali, anche a Como, dove gruppi di persone volonterose assistono a questi dibattiti sul nulla, senza una direzione in cui andare”.
“Ormai – prosegue il capogruppo Pd – la nostra politica, soprattutto a livello nazionale, sembra incentrata sul dileggio di Salvini o Di Maio, sui cinghiali a Roma, sulle battutacce sprezzanti da far girare sui social sull’errore di grammatica o sulla gaffe, tutto sempre intriso da un senso di superiorità che non ha giustificazione. Discussioni sterili, che alla fine fanno soltanto scappare le persone”.
Eppure, secondo Fanetti, i temi per fare un’opposizione di merito, anche dura, non mancherebbero, dalle promesse del governo gialloverde al tema delle migrazioni, passando per le questioni fiscali o infrastrutturali. “Ma esistono anche questioni minori, volendo, su cui potrai anche non basare la speranza di vincere le elezioni ma anche alla fine ti avvicinano alla gente, alle persone, che invece restano da troppo tempo sullo sfondo – sostiene Fanetti – E così passa il concetto di Pd come partito delle élites, vicino solo al potere. Immagine largamente falsa, ma che andrebbe combattuta con i fatti: andando nei quartieri, in mezzo alle persone, riavvicinandoci ai più fragili”.
“A Como, e non solo a Como, ci sono tanti militanti e iscritti che lo fanno e continueranno a farlo. Ma quando vai nelle periferie, nei quartieri, nei mercati devi anche avere qualcosa da dire, ma a Roma si parla di correnti, congressi, simboli, cene. Sfido chiunque, oggi, del nostro partito ad aprire un gazebo e poter rispondere con certezza alle domande sulla politiche nazionali del Pd”.
La discussione vira anche sulla situazione locale. “La classe dirigente locale è molto preparata ma ha necessariamente bisogno di un supporto a livello nazionale per crescere – dice Fanetti – Prendiamo le regionali: avevamo un candidato presidente valido, ottimo. E’ stato travolto da un semisconosciuto. Certo, è un momento storico particolare. Ma serve anche che i dirigenti nazionali tornino nei territori, ci mettano la faccia. Vi ricordate la campagna elettorale per Como del 2017? Quanti ne sono arrivati qui? Nessuno si è mosso, alle Feste dell’Unità qualcuno ha pure tirato bidoni all’ultimo minuto. E intanto Salvini va anche all’ultima delle feste della salamella”.
“La sensazione, che non per forza dev’essere la verità, ma che alla fine forse conta quasi nello stesso modo, è che il Pd di oggi voglia parlare soltanto a un elettorato colto, benestante, istruito. Eravamo nati per parlare a tutti, ora diamo l’idea della casta. E questo crea un muro tra noi e gli elettori. Penso invece che servirebbe fermarsi, tornare a individuare almeno 3-4 battaglie chiave e puntare con convinzione e passione su quelle. Forse così torneremmo nel dibattito politico nazionale, nel quale oggi siamo irrilevanti se non per le faide interne”.
Per fare questo, secondo il capogruppo dem a Palazzo Cernezzi, cambiare la comunicazione verso l’esterno può essere un primo passo utile. “Il Pd si basa su una comunicazione vecchia e inefficace, che non tiene conto della disintermediazione totale, tra verità e finzione, che hanno introdotto Lega e Cinque Stelle e che a questo risponde o con l’iper ragionamento tecnicista e razionale o con la derisione del singolo ministro, aspettando fiduciosi la disgrazia altrui. Ma così non funziona, urge un rinnovamento totale anche su quel fronte”.
“Prendiamo la questione immigrazione: i partiti di governo certamente ne gonfiano gli aspetti problematici in maniera disonesta per lucrarne politicamente, ma noi quanto vogliamo ancora andare avanti a controbattere con statistiche, analisi sociologiche o semplici affermazione che la verità è un’altra. Se la gente esprime un timore o un disagio, tu non puoi solo continuare a dire che si sbagliano loro e che non è così. Devi scendere anche su un terreno emotivo per comprendere il problema e dare risposte adeguate anche su quel piano, smascherando nel contempo le esagerazioni degli altri”.
E il futuro? “Non so dire. A livello locale, per paradosso, nella difficoltà molti rapporti sono migliorati, il clima è più sereno e collaborativo a ogni livello. Ma finché ai piani alti i temi saranno le date dei congressi e le cene, non vedo grandi speranze”.
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