Che cosa resta della Ticosa, oltre al nostro fantasioso fenicottero rosa fluttuante nel putrido stagno? Solo lo stagno, nemmeno il fenicottero: sono due dati di fatto. E questa è la cronaca semiseria di un flop politico e amministrativo (ok, l’ennesimo) totale, assoluto.
Perché oggi, dopo 4 anni pressoché esatti dall’elezione del sindaco Mario Landriscina e dalla vittoria del centrodestra alle elezioni comunali del 2017, sulla gloriosa e martoriata area non cresce niente, alghe a parte. E la pandemia che pure ha sconvolto il mondo c’entra, ma in fondo nemmeno troppo.
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Certo, quel nulla chiamato Ticosa non è solo storia di oggi se pensiamo che la tintostamperia che resse buona parte dell’economia comasca per decenni chiuse i battenti nel 1980 e venne acquistata dal Comune due anni più tardi (Mario Draghi era un giovanotto di 35 anni, per dire, Enrico Letta un liceale).
Ma il nulla cosmico che l’attuale amministrazione ha prodotto finora resta schiacciante. E sì che di proclami, progetti, pseudo masterplan se ne sono sentiti tantissimi nell’ultimo quadriennio. Ricordate?
Era il 22 maggio 2019, in un’accaldata assemblea di Ance il Comune svelò i disegnini delle magnifiche sorti e progressive che avrebbero dovuto consegnare la spianata al futuro: trasloco da via Vittorio Emanuele e innesto di un nuovo Municipio, novello emblema del Rinascimento comasco là dove un tempo regnavano tute blu e filati; poi altri uffici direzionali, negozietti, bar, mille posteggi pubblici, un polo culturale ambiziosissimo, Santarella inclusa.
Futuro Ticosa: Municipio, Santarella culturale, 1000 parcheggi. Hotel e negozi a Palazzo Cernezzi
Un sogno (o un incubo), insomma. Che peraltro affiancò e poi superò un’altra proposta extracomunale di cui all’epoca già si dibatteva, ossia il Polo della creatività e dell’innovazione lanciato da quella Officina Como presieduta dal possibile candidato sindaco a sorpresa del 2022, Paolo De Santis.
Due maxiprogettoni alternativi, ma così alternativi che alla fine si sono esclusi a vicenda: quello privato, cassato senza troppa grazia dalla giunta; quello della giunta auto-cassato per il clamoroso scivolone sull’atto propedeutico a qualsiasi cosa, la bonifica dei terreni. Sì, sì, esattamente quella finita con l’annullamento della gara d’appalto comunale da parte della stessa amministrazione che l’aveva preparata e bandita perché nei documenti c’erano troppi errori.
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Insomma, oggi siamo ancora qui. Allo zero o poco più, salvo che non si voglia prendere come contentino quel pugno di posteggi promessi da Palazzo Cernezzi “entro fine anno (segnarselo, please)” a ridosso della Santarella. Una caramellina consolatoria, ma con tanto buco attorno, a naso.
Per tornare al principio, dunque, che cosa resta della Ticosa? Un bosco orizzontale e senza un perché, con un putrido stagno a pulsare di bolle come un cuore malandato. No, il fenicottero ce l’abbiamo messo noi. Rosa, di plastica e – come le promesse tradite da quasi 40 anni – fintissimo. O l’unica cosa vera.