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Punti di vista

Como penalizzata, è vero. E se invece Fermi avesse fatto un mezzo miracolo?

Nella fiera delle ingiustizie targate Forza Italia, all’improvviso spunta un dubbio: e se – al netto di una oggettiva penalizzazione del territorio comasco – Alessandro Fermi, invece, avesse compiuto un mezzo miracolo?

Facile immaginare qualche sobbalzo sulle sedie, soprattutto in casa azzurra, eppure a nemmeno 24 ore dalla proclamazione della nuova giunta regionale guidata dal leghista Attilio Fontana, il sospetto che si possa vedere l’andamento delle cose anche da un altro punto di vista si fa strisciante. Per farlo, però, bisogna tenere presente un concetto di fondo: non esiste il dubbio che il territorio lariano nel suo insieme sia stato penalizzato, visto che dopo 13 anni di assenza e l’ennesimo tributo di “sangue e schede” ai partiti del centrodestra (Lega su tutti), un assessore comasco ci sarebbe stato eccome (così come ben altre candidature forziste alle Politiche sarebbero state dovute alla provincia).

Qui, però, il tema vero – che è quello della straordinaria debolezza collettiva del mondo istituzionale, economico e imprenditoriale della provincia a fronte di tanto genio singolo – porterebbe ad allargare troppo l’analisi. Restiamo dunque al caso di Alessandro Fermi e alle sue 8.600 preferenze che finiranno per regalargli soltanto la presidenza del consiglio regionale e non un ingresso in giunta (toccato invece, sebbene in forma più onorifico-politica che incisiva, al leghista Fabrizio Turba che sarà sottosegretario ai Rapporti con il consiglio regionale).

Sono state tante le voci che in questi giorni si sono levate per reclamare il giusto riconoscimento assessorile a Fermi. Persino alcuni esponenti del Pd – suscitando ovviamente polemiche e dibattiti al calor bianco – si erano spinti a ritenere “giusto” un incarico in giunta al coordinatore provinciale di Forza Italia, ovviamente nell’ottica più di un premio al territorio tramite un suo rappresentante a diffuso gradimento che non per incoronare in assoluto il politico di centrodestra. Lo stesso Fermi, che pure a giochi chiusi ha usato una invidiabile diplomazia, in realtà si attendeva eccome un assessorato. E persino incisivo (le deleghe nel mirino e accarezzate fino alla gelata definitiva di ieri erano Turismo e Attività produttive). Invece niente: tra lunghissimi e ingenerosi silenzi del partito, muri eretti dalla coordinatrice regionale forzista Mariastella Gelmini (la quale non ha mai inserito il nome di Fermi tra quelli dei papabili assessori berlusconiani) e qualche timidezza di troppo nel rivendicare il posto mentre altri territori assediavano i “nomi giusti”, alla fine il sogno è svanito alle 16.30 di ieri.

Silvia Sardone

La sensazione di una sconfitta politica, dunque, è del tutto legittima. Ma guardando meglio cosa è accaduto in casa Forza Italia in tutta la Lombardia, forse i giudizi catastrofici dei primi momenti non hanno poi un fondamento così saldo in riferimento a Fermi. Il che non significa che quanto accaduto sia giusto – ma in politica esiste una giustizia assoluta? Però può ridimensionarne i danni apparenti.

Prendiamo il caso più clamoroso, quella della forzista milanese Silvia Sardone: qualcosa come oltre 11mila preferenze personali alle elezioni del 4 marzo scorso. Data per assessore sicura sempre, dal primo secondo e fino all’ultimo, ieri – per sua stessa ammissione – ha appreso dagli annunci ufficiali la sua clamorosa esclusione. E oggi – cercate pure il caso su Google – l’interessata sprizza veleno contro i vertici del partito (in compagnia di big quali il governatore ligure Giovanni Toti) da ogni poro e pagina, siano essi virtuali o cartacei (qui lo sfogo). La sorte non ha arriso nemmeno a un pupillo nientemeno che di Silvio Berlusconi, quel Francesco Ferri giovane manager di origine parmense su cui si è svolta persino parte dell’ultima riunione notturna ad Arcore (ma che alla fine sempre la Gelmini è riuscita a disarcionare per premiare il bresciano Andrea Mattinzoli). E che dire della monzese Elena Centemero, già parlamentare non rieletta a inizio mese, altro nome graditissimo e sostenutissimo dal Cavaliere – non casualmente già candidata a sindaco di Arcore, poi sconfitta – e invece rimasta fuori dal’esecutivo regionale nonostante tale e tanto appoggio?

Insomma, nel vagone di Forza Italia che puntava alla stazione centrale “Attilio Fontana” è davvero corso il sangue. Ed è accaduto ai livelli altissimi, quelli che forse né Fermi né in generale gli azzurri comaschi frequentano e conoscono troppo bene. A questa stregua, forse, senza saperlo o azzardando un po’ troppo, Fermi – con la famosa uscita “Ho declinato la presidenza del consiglio regionale” davanti a decine di fan – si è persino messo molto più a rischio di quanto non sia apparso (anche se negargli persino quel ruolo avrebbe probabilmente portato a un’insurrezione locale vera e propria).

Sta di fatto, per concludere, che lo scarso peso politico complessivo di Como nella formazione della giunta regionale e in definitiva anche nella sua stessa composizione ha contato molto e – soprattutto per Forza Italia – ha determinato l’esito finale. Ma rispetto al caso singolo di Alessandro Fermi, la delusione e il premio di consolazione della presidenza dell’aula, forse, si possono quasi più leggere come una salvezza che non come una condanna assoluta. Perde il territorio, meno il singolo, pur penalizzato in rapporto alle ambizioni.

Nella gang di Forza Italia, funziona così. Con buonapace della “bella Como”.

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