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Elezioni 2022: la retorica di ortensie e lampadine non può bastare. Atti dovuti, non eroismi. A Como serve di più

C’è un gigantesco equivoco che, spinto anche da qualche palese calcolo politico-partitico, aleggia nel dibattito che si è acceso in consiglio comunale sul recente documento di bilancio e che probabilmente accompagnerà i mesi da qui alle elezioni 2022.

A fronte di palesi mancanze o inconcludenze dell’attuale amministrazione comasca su temi fortemente identificativi e simbolici (dalla vicenda del palazzetto di Muggiò finanziato con i “sogni” a quello degli arredi del nuovo lungolago, dal nulla sul recupero della Ticosa fino al poco visto finora per rilanciare i giardini a lago, dal piano del traffico ancora fermo nelle pastoie burocratiche al noto calvario della piscina olimpionica), dalla maggioranza di centrodestra si sono levati alcuni contro-temi a difesa del proprio operato e dei risultati conseguiti in questi 4 anni abbondanti.

Particolarmente dai banchi di Forza Italia e Fratelli d’Italia (benché la posizione critica del secondo partito rispetto alla giunta sia ormai eclatante), in risposta agli affondi dei gruppi di opposizione e ai rilievi della stampa sono stati opposti alcuni temi forti, sintetizzabili così: “Abbiamo investito milioni sulle scuole, sugli asfalti, sul nuovo sistema di illuminazione, sulla cura del verde, sulla messa a norma di molti spazi pubblici, sui marciapiedi e sui cimiteri”.

Una semplificazione, naturalmente, ma quegli argomenti sono stati davvero il nerbo degli interventi legittimamente tesi a rivendicare azioni, interventi e spesa pubblica a favore della cittadinanza. E intendiamoci: sulle scuole, ad esempio, si può largamente dare atto del reale impegno della giunta Landriscina per recuperare mancate manutenzioni e messe a norma che affondavano le radici negli anni.

Stesso discorso si può fare per il massiccio intervento su lampioni e luci, in via di sostituzione e riaccensione finalmente in moltissime parti di Como. Su marciapiedi e verde servirebbe un fact-cheking approfondito, ma ipotizziamo pure di accogliere almeno in parte le argomentazioni del centrodestra.

Arriviamo comunque al punto centrale di questo ragionamento, che poi – in fondo – si può riassumere in poche domande: e cosa dovrebbe mai fare un’amministrazione comunale, e per di più quella di un capoluogo del prestigio internazionale di Como, se non investire nelle scuole, sulle strade, sui lampioni, sul verde pubblico e sull’assistenza sociale ai più deboli? Quale dovrebbe mai essere il compito di un’amministrazione se non garantire la buona tenuta e la sicurezza di aule e corridoi, di svincoli e passaggi pedonali, di luci e giardini, di cimiteri e musei? Cosa c’è di più basilare per un Comune con 7-800 dipendenti se non assicurare che la gestione delle materie “core-business” sia, non diciamo perfetta, ma comunque costante e ben eseguita?

Nessuno nega che, in realtà, nemmeno le attività appena elencate siano e siano state semplici e sempre immediate per qualsiasi amministrazione, tra imprevisti, bilanci mai floridi come si vorrebbe, emergenze (anche gravissime, vedi la pandemia), eredità pesanti dal passato, errori in corso d’opera e via dicendo. Amministrare una città non è affatto facile come può sembrare da fuori: questa è una granitica certezza e vale anche per i settori teoricamente “scontati”.

Ma un altro assunto ha validità eterna: per chi governa o ha governato un Comune capoluogo famoso in tutto il mondo, meta di milioni di turisti e abitato da una cittadinanza attiva e certamente anche esigente al di là del singolo marciapiede, pensare di imbastire trionfalmente una campagna elettorale sull’aver garantito che agli studenti non crollasse un soffitto in testa o sul merito di non aver fatto camminare anziani e famiglie al buio nelle vie verso casa, sarebbe non solo assurdo ma suonerebbe quasi come una presa in giro.

Per converso, se invece questi servizi essenziali non sono garantiti è assolutamente logico che scattino polemiche e discussioni: e non certo perché la stampa e i cittadini sono “cattivi e ingenerosi”, come pure qualcuno vorrebbe sostenere, ma proprio perché sono i corrispettivi minimi che un’amministrazione deve ai suoi contribuenti.

Le tasse, e non poche, che ogni residente versa al Municipio ogni anno, servono esattamente a quegli scopi fondamentali, pur con tutte le difficoltà riconosciute poco sopra.

In una città – e ancor di più in una città particolare come Como – è su ben altre partite, più difficili, strategiche e simboliche, che si gioca davvero la partita. Perché alle elezioni nessuno va alle urne per eleggere asfaltatori, geometri o giardinieri. Quegli essenziali profili professionali un Comune dovrebbe averli – possibilmente in numero sufficiente e ben selezionati – nei propri uffici.

Con le crocette sulle schede, ogni 5 anni, si scelgono politici e amministratori di un capoluogo di fama ormai planetaria e sarà sempre su sfide più ampie della fioritura delle ortensie o della luminosità di un lampadina (che comunque devono essere garantite) che si giocherà la partita. Anche tra 9 mesi, si suppone.

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Un commento

  1. Nel tenore dei meriti che questa giunta si accolla, c’è tutto il limite di questa classe politica.
    È il solito arroccarsi dietro a quella che possiamo ormai universalmente definire “la politica delle buche”.
    Quell’accatastarsi di ordinaria amministrazione che non può definirsi avere una “visione” di cosa debba essere una città.
    Prendiamo ad esempio quanto messo in campo sul fronte della scuola o sulle periferie.
    Sicuri che “avere un’idea di città – una “visione” appunto – sia accontentarsi di imbiancature e serramenti, di prati tagliati e rotoli di carta igienica rimpiazzati nei bagni?
    Non che tutto questo non serva. Ma siamo sicuri che basti?
    Dove sono i servizi alla persona, il sostegno alle fragilità sociali specifiche di ogni quartiere, o l’impegno a costruire una rete di relazioni a compensare l’isolamento degli anziani e la mancanza di prospettive per i più giovani?
    Che nessuno li vede certi compagni di scuola dei nostri figli lasciati a loro stessi, o i pensionati aggrappati alle slot machine nei bar con le luci al neon a riempire una quotidianità vuota di tutto?
    Se c’è una colpa che a questa gente non si può – non si deve – perdonare, è proprio questa: continuare a vendere l’amministrazione di una città solo e soltanto come una sommatoria di cose da aggiustare.
    Senza rendersi conto che – a dover essere curato – è soprattutto altro.

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