Se una cosa ha insegnato il secolo breve (inteso come il ‘900, non il saggio di Hobsbawm – che pure ne ha coniato la definizione – citato sempre a casaccio) partendo in nuce da Walter Benjamin e gli altri a seguire, è che alla fine ogni cosa sta (anche e soprattutto) nella domanda.
L’opera, generata e non creata, il metodo di realizzazione, il suo invecchiamento e la storia stessa dell’artista sono parte genetica del quesito: “Questa è arte?“.
Del resto Christo ben (ma ben) prima del sovraesposto The Floating Piers (al secolo: molo galleggiante o pontile) era stato padre geniale di Running Fence (con Jeanne-Claude – 1976) e dell’imballamento o impacchettamento dei monumenti dove – oltre alla mitizzazione, si conceda finanche eccessiva, della Land Art – soggiaceva la stessa domanda che, genuinamente il passante ha il diritto (se non il dovere, magari non del tutto consapevole o distratto ma sempre sanissimo per tutti) di porsi: “Che è?”.
Non arriviamo noi oggi a spiegarlo, ci mancherebbe.
Però.
Siamo (o dovremmo essere) ampiamente nel post. E, maledizione, nel post vale tutto (sotto il cappello orribile della post-verità). L’iperaccelerazione mediale sovrappone azione a percezione della stessa, senza tempi di elaborazione: fatto-finito-click-Social-commento-fine.
Poi c’è il valore sociale, estensivamente politico, del lavoro di un artista. Che non può essere ridotto (nel senso del brodo ristretto) a una duplicazione fotografica con post su Instagram.
E’ successo in Piazza Duomo a Milano, qualche mese fa, a Maestà Sofferente, incredibile installazione di Gaetano Pesce.
In una sorta di ultra-elaborazione di sé, Pesce ha ricontestualizzato (vile limitarsi a definirla un’autocitazione) la sua poltrona up5&6 (1969).
Pensato, quantomeno raccontato, come lavoro “contro la violenza sulle donne” è stato fortemente contestato da diversi movimenti attivi sul fronte dei diritti delle donne.
E’ il caso, tra i tanti, di Non una di meno che lo scorso aprile, all’inaugurazione per il Salone del Mobile, prese posizione durissima e seria (che, per essere chiari, non è affatto un post Social ma un’analisi precisa, condivisibile o meno):
Una rappresentazione della violenza che è ulteriore violenza sulle donne perché reifica ciò che vorrebbe criticare. La donna per l’ennesima volta è rappresentata come corpo inerme e vittima, senza mai chiamare in causa l’attore della violenza. E tutto questo senza passare dalla forma umana: alla poltrona e al puntaspilli mancano infatti testa, mani e tutto ciò che esprime umanità in un soggetto.
Maestà sofferente, corpo di donna mutilato flagellato da frecce che paiono spilli per proporzioni, oggi è in fase di allestimento a Cantù, in occasione del Festival del Legno.
E sta già animando un confronto serrato. Non solo (vivaddio) online.
Alleluja. E’ decisamente questo il dinamismo doveroso. Dubbio genetico nella domanda di cui sopra, un po’ parafrasata: “Ma davvero questa è arte?”.
A ciascuno la sua. Risposta. Se c’è.
Così l’amministrazione racconta la scelta di ospitare il lavoro di Pesce:
L’installazione posizionata in occasione del Festival del Legno 2019 resterà esposta fino al 27 ottobre al termine della Biennale Internazionale del Merletto.
L’opera unica di Gaetano Pesce è intrisa di significato, evidenzia infatti il trattamento delle donne nella società patriarcale e la disparità tra i sessi. La forma ricorda il corpo femminile, che, legato ad un poggiapiedi di forma sferica, simboleggia la donna prigioniera dei pregiudizi maschili, vittima delle sue violenze e priva degli stessi diritti universali.A sottolineare il tema della violenza sulle donne, argomento di forte attualità saranno le innumerevoli frecce incastonate sulla superficie della sedia, e una serie di teste di animali realizzate in polistirolo e fibra di vetro verniciata montate su un cavalletto di ferro.
L’installazione della Maestà Soffrente sarà alta 8 metri e situata in una posizione privilegiata della città, Piazza Garibaldi, che le garantirà ampia visibilità e centralità, connotando l’edizione 2019 del Festival del Legno come evento che lega tradizione e innovazione ai temi di attualità che lo circondano coinvolgendo personaggi di spicco del design e dell’architettura italiani.
Il significato dell’opera di Gaetano Pesce è profondo, poiché affronta un tema quanto mai attuale in modo provocatorio.
Le riflessioni scaturite hanno portato a definire il tema della Cantù Città del Mobile 2019, che sarà la “PROVOCAZIONE” in tutte le diverse accezioni.
Un commento
Potevano risparmiarci questo orrore,la piazza è gia abbastanza brutta da sola! Apprezzabili invece le installazioni degli anni scorsi, abbiamo fatto un bel passo indietro! Complimenti ai promotori!!