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Fuggiti dai talebani, integrati a Como e Cernobbio ma ora Farid e famiglia perdono la casa. Serve un aiuto urgente

Questa è una storia di integrazione e voglia di riscatto, di chi ce la sta mettendo tutta per tornare a essere una persona con una vita e non solo un profugo in fuga e chiede solo un po’ di tempo e di rispetto per tutte le ferite che porta nel cuore. E questa è la storia di diciotto persone che, secondo la Legge, dovrebbero lasciare tutto, lavoro, scuola, amici se qualcuno non alzerà gli occhi dalle procedure da seguire, seppur giuste, e non le vedrà per quello che sono veramente: anime sballottate e ferite che hanno disperatamente bisogno di radici.

Questa è la storia di Farid e della sua famiglia, scappati nel 2021 dall’Afghanistan dopo il colpo di stato dei talebani e accolti come rifugiati politici tra Como e Cernobbio dove hanno iniziato a ricostruire le loro vite e che ora hanno fatto la scelta più difficile: hanno rinunciato a entrare nel programma di seconda accoglienza messo a disposizione dei rifugiati dallo stato italiano perché questo avrebbe significato trasferirsi nell’unico centro disponibile ad accoglierli, in provincia di Napoli, distruggendo di nuovo la vita che loro, e i loro figli, hanno appena cominciato a vivere. Anche se questo significa chiedere ancora una volta aiuto.

“Fino a due anni fa avevamo una vita tranquilla e agiata ad Herat, ero un imprenditore e avevo una grossa azienda di servizi con la quale, per vent’anni, ho lavorato per il contingente di pace Nato in Afghanistan – racconta Farid – con l’arrivo dei talebani, però, proprio per questi nostri rapporti di lavoro siamo stati minacciati di morte e siamo stati costretti a scappare. Così, grazie all’intervento del Ministero della Difesa e degli Affari Esteri, la mia famiglia è stata evacuata nel pieno dell’attentato all’aeroporto di Kabul e siamo arrivati a Como”.
Qui, Farid e la sua famiglia sono stati ospitati in due case messe a disposizione dalla cooperativa Symploke: lui, sua moglie e i loro cinque figli tra i 18 e i 3 anni a Cernobbio e il resto della famiglia composta da altre undici persone, tra cui i genitori anziani, bambini e un disabile, a Rebbio.
“Siamo grati per averci salvati e per tutto l’aiuto che ci è stato dato, ma fin da subito ci siamo dati da fare perché siamo sempre stati dei grandi lavoratori e volevamo tornare ad essere indipendenti il prima possibile – racconta – i miei cugini hanno trovato lavoro in hotel e aziende della zona e uno dei miei fratelli ha aperto un’attività commerciale con alcuni dipendenti. Inoltre i nostri figli frequentano le scuole, hanno nuovi amici, ma adesso rischia di crollare tutto”.

Lo scorso 31 marzo, infatti, la Questura di Como ha notificato alla famiglia di Farid il provvedimento di avvio delle procedure di revoca delle misure di accoglienza per essersi rifiutati di proseguire il loro percorso di integrazione a quasi 1.000 km da dove stanno già ricostruendo la loro vita. “Non potevamo accettare di andare a Napoli perché i nostri figli non potrebbero sopportare un altro cambiamento di vita, mio fratello non può buttare via il lavoro fatto per aprire il suo negozio e mio padre soffre di una grave forma di depressione e un altro trasferimento sarebbe un colpo troppo duro, quindi abbiamo scelto di rinunciare a restare nel programma di accoglienza – racconta – da mesi stiamo cercando una casa in affitto ma nessuno ci dà fiducia e per comprarne una devo aspettare che si concluda la causa che abbiamo in corso contro alcuni imprenditori italiani con cui lavoravo in Afghanistan che hanno approfittato del colpo di stato per non pagarmi. Così ho chiesto aiuto al Comune di Como e a quello di Cernobbio per avere un alloggio ancora per qualche mese”.
Ma se Cernobbio ha risposto mettendo a disposizione di Farid, di sua moglie e dei figli una casa temporanea, a Como ancora tutto tace: “I Servizi Sociali mi hanno detto di scrivere una lettera alla segreteria del Sindaco che, però, ha risposto con un messaggio WhatsApp di rivolgermi ai Servizi Sociali”. Un cortocircuito che, come risultato, ha che da domenica le undici persone che hanno finora vissuto a Rebbio, colpevoli solo di non potersi permettere di perdere di nuovo tutto quello che hanno costruito faticosamente, non sapranno dove andare.
“Chiediamo solo una casa temporanea, anche in affitto – è l’appello di Farid – ma ci serve soprattutto che venga riconosciuta la nostra dignità, non chiediamo altro”. Chi, privati o associazioni, fosse in grado di aiutare Farid e la sua famiglia può scrivere una mail a redazionecomozero@gmail.com e provvederemo a metterlo in contatto con lui. Diamo una mano a questa famiglia.

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2 Commenti

  1. Ottimo ottimo ora i campioni dell’accoglienza potranno mettere a disposizione le loro case o stanze per pochi mesi, così si legge, e dimostrare con i fatti e non le parole il loro infinito spirito di solidarietà. Aspettiamoci una valanga di offerte o no?

    1. Non hanno neanche avuto una risposta… Non resta che confidare nell’aiuto di qualche privato. Chiedono 1 aiuto a trovare 1 alloggio che, Nb, sono disposti a pagare!!

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