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Punti di vista

Il Pd smetta di celebrare il suo funerale, che non solo è vivo ma insostituibile. Parli di cose reali, normali. E legga Ricolfi

Insufficiente in termini numerici, dilaniato dalle correnti, senza un segretario nazionale per mesi, privo di idee forti, incerto su identità, messaggio politico e alleanze, invischiato in una comunicazione antica, ermetica o in alternativa sconfinante nell’ego borioso del singolo, alle prese con una tempistica improponibile e inaccettabile per il congresso nell’epoca della comunicazione in tempo reale.

Eppure ancora assolutamente insostituibile, unico riferimento e argine reale e a suo modo stabile per un’opposizione al centrodestra trionfante, voce incerta ma almeno udibile sui territori, contenitore di classe dirigente sempre più ristretta e molto consunta ma non di rado seria, radicata e dotata di ottime doti intellettuali e amministrative. Tutto questo è oggi il Partito Democratico, da Roma alla Lombardia passando per Como: un enorme coacervo di contraddizioni, in profonda crisi esistenziale ma – a conti fatti, restando sul Lario o comunque in regione – unica risposta non volatile e ancora radicata da contrapporre ai dominatori del centrodestra.

Lo dicono i numeri, non le opinioni: alle ultime regionali lombarde il partito conteso tra Bonaccini e Schlein ha perso nettamente e senza forse aver nemmeno mai giocato sul serio. Ma mentre logicamente si celebrano i 25% di Fdi o il 16% della Lega, i Dem si sono attestati al 21%. Lasciate perdere, per l’amor del cielo, le illusioni ottiche del “sì ma aveva preso”, “sì ma ha perso voti”, “sì ma doveva prendere” ecc. Restiamo alla realtà che troppo spesso, soprattutto nel centrosinistra, diventa secondaria rispetto a elucubrazioni, stati d’animo, immaginifiche polemiche sul niente: il “cadavere” del principale partito di opposizione è comunque il secondo partito in Lombardia. Esiste, c’è, insomma. Vive. Ha ancora uno zoccolo duro che nonostante delusione, sconfitte, divisioni, va alle urne e concede fiducia e preferenze.

A Como provincia è andata peggio? Vero, il 16,8% a livello territoriale è di molto inferiore al dato lombardo (mentre a Como città, come sempre, si sale di nuovo al 21,7 cioè secondo partito per pochissimo dietro a FdI ma ben oltre sette punti sopra la Lega). Anche qui, lasciamo perdere “eh ma con Renzi era al 40”, “eh ma ha perso voti”, “eh ma, eh ma, eh ma”. Esca dai salotti dell’analisi spacca cervelli “il meraviglioso mondo” del centrosinistra. Guardi la realtà: il Partito Democratico, mentre si volatilizzato i tweet calendiani, evaporano i Morattismi senza capo né coda, scompaiono così come erano venuti (almeno tra Lombardia e Como, ma mediamente in tutto il Nord) i Cinque Stelle, pur nel suo momento largamente peggiore, in grave crisi, a volte praticamente allo sbando, non solo non è morto. Ma è il pilastro essenziale per qualsiasi ragionamento del centrosinistra.

Non esiste a oggi – se non nei pipponi su “dobbiamo rifondare la sinistra”, “la sinistra riparta da…”, “la sinistra faccia la sinistra (ma poi quale, quella di Potere al Popolo all’1%?)” – dicevamo, non esiste oggi un’alternativa vera, toccabile con mano, a una rianimazione del Pd sul posto. Rianimazione significa revisione (rapida per l’amor del cielo), cambiamento (ma senza le idiozie rottamatorie), rinnovamento (facce nuove, magari come si fa nelle squadre di calcio quando si inseriscono mano a mano i Primavera e poi magari qualcuno lo sbagli ma a volte ti trovi un Maldini o un Totti), ma nessuna sepoltura. Sotterrare tra lacrime e risibili proclami il corpaccione pur malandato del Pd significherebbe annientare ogni reale possibilità di opporsi al centrodestra. Altro, oggi, rispetto al Pd, non esiste. E se esiste (terzi poli, sinistre-sinistre e quant’altro), in Lombardia come a Como, o esiste perché esiste il Pd (vedi le liste civiche alle amministrative che altrimenti non potrebbero nemmeno nascere) oppure viene costantemente respinto o minimizzato dai pochi elettori che ancora hanno la forza di votare.

Dunque, per concludere, il Pd potrebbe innanzitutto smettere di dire cose general generiche solo perché fanno sinistra, strappate dai manifesti del ‘900 e che sembrano vuote all’80% dei lombardi, dei comaschi e forse degli italiani (“Ripartiamo dal lavoro”, sì ma quale lavoro? I dipendenti? Le partite Iva? I precari? o “Torniamo nelle periferie” sì, ma quali periferie? Camerlata è come Corviale? Ponte Chiasso vicino al confine è come la Bovisa?); o ancora potrebbe finirla di mischiare ottomila messaggi che parlano soltanto a esigue minoranze su 60 milioni di italiani; poi, per capire un attimo meglio se stesso, qualche Dem potrebbe leggere a fondo almeno la prima, eccellente parte del libro “La mutazione” di Luca Ricolfi; e infine iniziare a parlare con messaggi mirati e specifici, magari veicolati in forma comprensibile da persone che sappiano bucare schermo e pagine con passione e non nutrendo solo gli arabeschi di Goffredo Bettini, anche di cose normali, quotidiane, vissute o percepite dalla stragrande maggioranza degli abitanti di questo Paese, di questa Regione e di questa provincia, senza rinchiudersi in recinti ideali e astratti erigendosi solo a impettito megafono delle minoranze (le difenda, le tuteli le minoranze, è nel suo Dna, ma caspita, pensi anche a chi fa parte del ventre grosso di Como, della Lombardia e dell’Italia). Ma soprattutto, il Pd magari smetta di celebrare il suo funerale e faccia questa magnifica scoperta: il partito non solo è vivo. Ma di altro, almeno a Como e in Lombardia, non esiste niente di reale.

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5 Commenti

  1. Emanuele Caso. Finalmente un commento serio, non vittimistico che i dirigenti comaschi, e non solo dovrebbero fare proprio e trasmettere ai loro elettori e simpatizzanti.

  2. Con un tasso di astensionismo del 60%, il PD dovrebbe forse cominciare a interrogarsi su chi non si sente rappresentato e che sceglie di non votare.
    Il Partito Democratico ha un infinito problema di linguaggio, inteso come “le parole che usi per comunicare”, “il messaggio che comunichi”, ma anche “chi le comunica”.
    L’esperienza politica degli ultimi anni insegna che avere un passato – avere una storia politica – più che un valore aggiunto, sia quasi una colpa da farsi perdonare.
    Non a caso, anche partiti storici come Lega e FdI si sono sforzati di costruirsi un’identità nuova figlia di una rinascita da percentuali minime.
    Del successo del M5S è anche inutile parlare.
    Dal canto suo il PD, quando l’ha spuntata, l’ha fatto sospinto dallo slogan della rottamazione del proprio passato e della propria classe dirigente.
    Ovviamente, per essere percepito come autentico, ogni rinnovamento necessita di un sacrificio pubblico, ritualistico, collettivo.
    E più forte è il dolore mostrato, più la catarsi risulterà credibile e vera.
    Peccato però che nella messa in scena di questa tragedia corale, tutti si vogliano attori protagonisti, registi, costumisti, coreografi e nessuno abbia il coraggio di interpretare il ruolo della vittima sacrificale.

  3. Una delle grandi trasformazioni che ci sono state in politica negli ultimi decenni è stato il passaggio dall’idealismo, caratterizzato da scelte di principio, al pragmatismo, caratterizzato da scelte di convenienza. Ci ha sdoganato la discesa in campo di Berlusconi che ha convinto la maggioranza degli italiani che il liberismo e l’individualismo convenivano anche ai più poveri e non solo ai più ricchi. Poi tutti i partiti hanno cercato di conquistare gli elettori degli altri senza seguire i loro modelli ideali. Il PD, come tutti gli altri, è caduto nello stesso errore. Ha cercato di conquistare quelle categorie che non rappresentavano la sua storia e ha finito per perdere la fiducia delle categorie che hanno fatto la storia dei partiti di sinistra. Il PD dovrebbe riscoprire come si fa opposizione, come si spiega agli operai che chi si vende come paladina degli industriali non fa i loro interessi, dovrebbe parlare di precarietà con le partite IVA, dovrebbe parlare di “diritto alla salute” ai tanti cittadini senza medico e che non possono permettersi visite private e assicurazioni, dovrebbe spiegare ai pendolari che la puntualità dei treni è un diritto di chi paga il biglietto, dovrebbe abbandonare i tatticismi alla Bettini e portare avanti gli ideali che hanno caratterizzato la propria fondazione. Insomma, come diceva il grande Beppe Viola, “per sembrare un genio, dovrebbe essere completamente diverso”.

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