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Punti di vista

Le violenze sui disabili, i giovani, le aggressioni social: il luminoso scritto del sindaco Michele Spaggiari. “Noi adulti dobbiamo educare e capire. Non insultare e denigrare”

La vicenda agghiacciante (che tale rimane) è venuta a galla una settimana fa. Grazie alle indagini dei Carabinieri di Menaggio e della Procura di Como, sono emerse le violenze compiute da un gruppo di sette giovani residenti tra Menaggio e Porlezza, ora accusati di stalking e lesioni, nei confronti di un gruppo di persone tra cui anche disabili. E mentre la giustizia aveva appena iniziato il suo corso, inevitabilmente sui social network è andata in scena la tipica ridda di commenti aggressivi e infuocate prese di posizione del momento, alcune di queste persino con parole estremamente violente.

Ebbene, a distanza di 7 giorni, oggi è il sindaco di Menaggio, Michele Spaggiari, ad affidare a facebook un lunghissimo scritto. Anzi, un testo che per equilibrio, profondità e umanità (nei confronti di tutti i protagonisti della drammatica vicenda, senza per questo mischiare in alcun modo torti e ragioni) dovrebbe avere una eco paragonabile al peso di quello parole.

Alleghiamo integralmente di seguito lo scritto di Michele Spaggiari.

È passata ormai una settimana da l’uscita dell’articolo che riguardava gli atti deplorevoli di un gruppo di ragazzi della zona, la maggior parte di loro di Menaggio, nei confronti di persone disabili o comunque “deboli”. Una settimana in cui si è detto e scritto di tutto, specialmente sui social, e che ha mostrato un mondo, quello degli adulti, che sicuramente non è meglio di quello dei ragazzi che si sono resi protagonisti di questi comportamenti inqualificabili.

C’è stato chi, per smania di protagonismo, è corso subito ad analizzare i fatti, con tanto di spiegazione e analisi sociologica, senza nemmeno pensare che le sue parole “vuote” non sono servite a nulla se non a “farsi bello” nei confronti degli altri, creando nel contempo un clima di odio che serve solo a peggiorare la situazione. Peggio ancora ha fatto chi, dall’alto delle sue “conoscenze” sociologiche e giuridiche ha già fatto il processo e deciso la pena, augurando agli autori di questi atti persecutori e di discriminazione le peggiori cose.

Qualcuno si è addirittura spinto ad augurare loro d’avere figli disabili “per vivere sulla propria pelle cosa vuol dire averne uno…”, come se questo potesse insegnare loro come comportarsi e “ripagare” le vittime del male subito.

C’è chi ha parlato persino di omertà, per commentare il silenzio che spesso, per fortuna, ha accompagnato questi giorni. Un silenzio rispettoso, delle vittime e, sembrerà strano, degli autori di questi gesti, che sono vittime anche loro. Di loro stessi, e del mondo in cui vivono. Perché se essere giovani 50 anni fa era difficile per tante ragioni, oggi, per altre, lo è forse molto di più.

Perché le tentazioni, i cattivi esempi, le possibilità di sfuggire al controllo degli adulti sono maggiori. Perché su internet e sui social si trova di tutto, e da giovani purtroppo a volte è facile farsi condizionare dall’esempio sbagliato, o non avere la forza di dire di no a l’amico che propone qualcosa. I ragazzi hanno sbagliato, il loro comportamento è assolutamente da condannare e niente li può giustificare, ma nulla autorizza noi adulti a trasformarci in “carnefici”.

A noi spetta il compito di rieducare e riabilitare questi ragazzi, che saranno spero tra qualche anno genitori come lo siamo noi adesso e che mi auguro possano portare nelle loro vite il buon esempio che l’intera comunità ha dato in risposta al loro bruttissimo comportamento.

Ho incontrato alcuni di loro in questi giorni, sia vittime che protagonisti di questa brutta vicenda. Tutti dispiaciuti e addolorati per quanto accaduto, pronti a chiedere scusa o a perdonare, disponibili a venirsi incontro, ma anche e soprattutto a pagare per quanto fatto.

Ora mi chiedo: “Li ammazziamo? Li torturiamo? O proviamo ad riabilitarli?” Spetta a noi adulti formare e guidare i giovani. La crescita dei nostri ragazzi, che è anche la crescita delle nostre comunità, passa da tante istituzioni tra loro legate: famiglia, scuola, parrocchia, associazioni, istituzioni locali, società civile. Ognuna con un suo compito e ognuna con le sue difficoltà nel portarlo avanti. Impariamo noi stessi, per primi, a rispettare e far rispettare queste Istituzioni.

Perché i giovani imparano dagli adulti, e tra gli adulti gli esempi negativi purtroppo sono tanti. Impariamo a vivere nel rispetto di tutti, e ad essere noi stessi di esempio nelle parole e coi fatti.

Non si può, come succede spesso, insultare, denigrare, accusare liberamente qualcuno e poi ergersi a paladini della giustizia per commentare fatti come questi che purtroppo si commentano da soli. Soprattutto se poi non siamo capaci, quando chiamati a farlo, a contenere e moderare il nostro parlare, scrivere, agire.

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Un commento

  1. Affermare che gli autori dei fatti siano anch’essi vittime, sinceramente mi sembra un po’ fuori luogo. Anni fa per giustificare comportamenti devianti si diceva “è colpa della società”…. Personalmente penso che ognuno è responsabile dei propri atti e deve essere disposto a pagarne le conseguenze.

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