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Come una serie thriller di Netflix: ma sulle misterose mummie degli eremiti indaga l’Università dell’Insubria

Le mummie di età moderna dell’arco alpino sono l’obiettivo di studio di un nuovo progetto del Centro di ricerca in Osteoarcheologia e Paleopatologia dell’Università dell’Insubria, che ha dato i primi frutti al Santuario della Corona a Ferrara del Baldo, arroccato su una parete a strapiombo sulla valle dell’Adige a quasi 800 metri sul livello del mare, in provincia di Verona.

Tre mummie, conosciute come “gli eremiti”, sono custodite nel cosiddetto “sepolcreto degli eremiti”, uno degli angoli più remoti del Santuario. Questo luogo, un passaggio obbligato per chiunque voglia scoprire le caverne dove un tempo questi religiosi vivevano in solitudine e meditazione, conserva i resti di tre individui di cui, fino a poco tempo fa, si sapeva ben poco. Chi erano? Quando sono vissuti? Come si sono conservati i loro corpi? Quali malattie li hanno afflitti e, soprattutto, perché sono morti?

Modello digitale tridimensionale in norma superiore della mummia classificata come ID3 (acquisizione dati ed elaborazione di Andrea Gregorini)

A queste e ad altre domande cerca di rispondere il progetto di ricerca, autorizzato e supportato dalla Diocesi e dalla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Verona, guidato dall’antropologo fisico Omar Larentis e dalla professoressa Ilaria Gorini, rispettivamente coordinatore e direttrice del Centro di ricerca in Osteoarcheologia e Paleopatologia dell’Università dell’Insubria, sede di Varese. Il progetto coinvolge un gruppo di professori e ricercatori provenienti da diverse università italiane, ognuno con competenze specifiche per far luce su questo affascinante enigma storico. Una prima presentazione del lavoro è in programma sabato 13 settembre proprio a Ferrara di Monte Baldo, dove la sala conferenze dell’hotel Stella Alpina ospita il convegno «Il Sepolcreto degli eremiti».

Il primo passo è stato documentare lo stato di conservazione degli eremiti. Questo è stato possibile grazie al lavoro di Andrea Gregorini del Dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano, sotto la supervisione del professor Emanuele Zappa, esperto di misure meccaniche e termiche, e della professoressa Susanna Bortolotto, docente di restauro. Utilizzando avanzate tecnologie di scansione 3D con laser, i ricercatori hanno creato modelli tridimensionali delle mummie, che permetteranno uno studio dettagliato e contribuiranno a valorizzare questi resti anche al di fuori del Santuario.

Ispezione macroscopica con lente e luce radente e diffusa della mummia classificata come ID1 (fotografia di Omar Larentis)

Un aspetto fondamentale della ricerca riguarda l’analisi degli abiti indossati dagli eremiti. Di cosa sono fatti? Di lana, lino, cotone, seta? Oppure sono decorati con fili d’argento o d’oro? E a quale epoca appartengono? Per rispondere a queste domande, la professoressa Laura Rampazzi dell’Università dell’Insubria ha esaminato le fibre dei tessuti con un microscopio elettronico, riuscendo così a identificare la composizione dei materiali. Contemporaneamente, Marta Lorenzetti, esperta in restauro di tessuti, ha studiato lo stile e la manifattura degli abiti, determinandone l’età e il possibile contesto religioso in cui vennero utilizzati.

In un’indagine che ricorda i metodi dei “cold case”, il professor Stefano Vanin, entomologo dell’Università di Genova, noto per il suo coinvolgimento in celebri casi di cronaca, ha esaminato gli insetti trovati sulle mummie. Questi piccoli esseri, che si trovano sui corpi dopo la morte, possono fornire preziose informazioni sui giorni successivi al decesso degli eremiti e sull’ambiente in cui i loro corpi sono stati conservati.

Modello digitale tridimensionale in norma laterale sinistra della mummia classificata come ID1 (acquisizione dati ed elaborazione di Andrea Gregorini)

Parallelamente, il team di antropologi e paleopatologi, guidato da Omar Larentis ed Enrica Tonina, si è occupato di raccogliere informazioni biologiche sugli eremiti: stabilirne il sesso, l’età al momento della morte, le condizioni di salute e, se possibile, le cause del decesso. Per farlo, si sono avvalsi della collaborazione del professor Giancarlo Mansueto, primario di radiologia all’Università di Verona, e di Fujifilm Italia, che ha messo a disposizione un apparecchio radiografico portatile di ultima generazione, consentendo di eseguire radiografie direttamente nel Santuario.

«Questo progetto interdisciplinare – spiega Omar Larentis – non solo cerca di rispondere a domande storiche, ma offre anche una visione dettagliata della vita e della morte di questi misteriosi eremiti e delle altre persone che nel corso dei secoli hanno vissuto e trovato la fine nel Santuario. Unendo tecnologia, scienze umane e naturali e scienze antropologiche la ricerca ci guida in un affascinante viaggio nel passato, alla scoperta di un capitolo ancora poco conosciuto della nostra storia».

Infine, la ricerca si è estesa ad altri resti umani ritrovati nel Santuario, anch’essi conservati nel sepolcreto degli eremiti. Le ossa, quando analizzate nel loro insieme, possono rivelare una quantità sorprendente di informazioni. Leonardo Lamanna, antropologo e attuale Soprintendente archivistico e bibliografico del Veneto e del Trentino Alto Adige, ha integrato i dati biologici raccolti con le fonti storiche analizzate assieme alla professoressa Ilaria Gorini, direttrice del Centro di ricerca nonché docente di Storia della Medicina all’Insubria, arricchendo ulteriormente il quadro di questo mistero storico.

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