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La morte ti fa bella: due chiacchiere con Martina. Makeup artist del caro estinto

“Parlo sempre con le salme. Quando entro dico buongiorno e quando esco arrivederci. Alla fine ci vuole rispetto. Sono persone”, racconta Martina, sorridendo, mentre parla del suo lavoro.

Il pieghevole che illustra i suoi servizi è di un viola scuro, sormontato da un trocar (uno strumento per l’imbalsamazione) avvolto due serpenti teschiati e ali di pipistrello aperte, con una scritta che legge Mortuary Science – scienza mortuaria.

Martina 26 anni, è una tanatoprattrice. Restituisce ai defunti l’aspetto che avevano da vivi, truccando, vestendo e disinfettando la salma e permettendo ai familiari di conservare un ultimo buon ricordo del caro estinto.

“Ho questa passione sin da piccola. Mi ricordo il giorno della morte della mia bisnonna. Quando l’ho vista nella bara, le ho sfiorato le mani, il viso. Da quel momento è nato il mio grandissimo interesse scientifico per la morte – spiega la ragazza, di Oltrona San Mamette – ho cominciato a leggere tutto il materiale a riguardo”.

Le imprese funebri chiamano Martina quando c’è bisogno di riportare un corpo a una parvenza tollerabile. La ricostruzione avviene sulla base di fotografie e punta a dare un aspetto più sereno al defunto, nei casi più semplici, o a porre rimedio a salme rimaste sfigurate in incidenti.

“Sono sempre disponibile, anche con poco preavviso – dice la ragazza – Ho tutto il mio “ufficio” in macchina. Truccare una salma non è la stessa cosa che truccare una persona viva. La pelle morta si disidrata molto più velocemente e non assorbe i cosmetici normali. Servono prodotti speciali. C’è poi tutto il lavoro di sanificazione e disinfezione. Il complimento più bello che mi possono fare è dirmi che il defunto sembra stia dormendo”.

Il mestiere di Martina è però legato a un filo sospeso sopra a un vuoto legislativo pericoloso: “Oggi non ci sono normative nazionali, solo regionali. Una collega ligure ha rischiato una denuncia per vilipendio di cadavere per aver lavorato su una salma”.

La mancanza di normative fa sì che gli standard dell’industria funeraria siano talvolta bassi, dice Martina: “Ho sentito di operatori che disinfettano le salme usando l’alcool. È proprio la cosa da non fare perché secca terribilmente la pelle e applicare il trucco diventa impossibile. Alcuni non usano guanti o mascherine, rischiando di contrarre malattie. Altri, in caso di incidente, non mettono mano al viso del defunto perché non sono in grado. Chiudono la bara, senza permettere ai famigliari di dare l’estremo saluto”.

Martina ha una laurea in Beni Culturali ottenuta con una tesi antropologica sul diverso trattamento del corpo del defunto in culture diverse.

GALLERY-SFOGLIA

Si è diplomata a Modena alla Scuola Superiore di Formazione per la Funeraria e poi a Budapest. “C’è pochissima letteratura italiana a riguardo. Bisogna andare all’estero – spiega la ragazza, raccontando dei corsi fatti in Bulgaria dove la Legge permette di intervenire sulle salme – Molte persone che frequentano questi corsi pensano di non avere alcun problema a trattare una salma. Poi se ne trovano una davanti e non ce la fanno. Quando ho iniziato avevo questa paura. Ma dal primo momento è stato chiaro che questo è l’unico lavoro che voglio fare”.

Chiediamo che tipo di reazione il suo lavoro desta negli altri e la ragazza racconta che non tutti capiscono. Davanti ai pregiudizi, Martina ha la risposta: “Sono orgogliosa del mio lavoro. Chi non vuole capire è ignorante”.

Il pezzo che avete appena letto è stato pubblicato su ComoZero settimanale, in distribuzione ogni venerdì e sabato in tutta la città: qui la mappa dei totem.

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